BARONE PIZZINI e i suoi FRANCIACORTA

 

L’assaggio di una serie consistente di Franciacorta della Barone Pizzini mi ha lasciato la netta impressione di un’azienda in crescendo continuo: vinificazioni inappuntabili, stile elegante, verticale, ben definito nei dettagli dove la freschezza, la finezza del perlage e la nitidezza aromatica costituiscono la base imprescindibile di ogni cuvée prodotta e non stupisce, quindi, riscontrare che anche le più semplici, come il Franciacorta Brut Golf 1927, costituiscano ormai una certezza in fatto di correttezza tecnica e piacevolezza di beva.

Mi sono però limitato a riportare le note di assaggio delle etichette più rappresentative tra quelle che ho avuto occasione di provare, con uno scintillante Satèn 2016 a guidare la fila…..

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I VINI di BELLENDA

 

Ormai ho scelto di assegnare a questi piccoli ritratti il titolo più banale, ma spero anche più comprensibile, de “I Vini di…”. Nel caso di Bellenda mi rendo conto che, vista la vastità della gamma di etichette prodotte dall’azienda di Vittorio Veneto, il titolo in questione sia un po’ presuntuoso.

I tre vini ricevuti in assaggio sono tuttavia sufficientemente rappresentativi dell’articolata e originale proposta complessiva; tecnicamente ben disciplinati e precisi, oltre che nettamente distinti sul piano del carattere, i Metodo Classico di Bellenda costituiscono da anni una sponda autorevole per coloro che si rifiutano di considerare il Prosecco solo una bevanda dal consumo facile e, come dire, inconsapevole.

Dal più conciliante Dry Lei al rigoroso Pas Dosé S. C. 1931 la distanza, in termini gustativi, potrebbe apparire interminabile ma in realtà i tratti comuni che li rendono affini sono più d’uno.

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Brut Evoluzione, Trevisiol – Aprile 2018

 

Se ne parla già da un po’ e se ti capita l’occasione di assaggiarle non te la fai scappare, perché sei annate di fila – dal 1985 al 1990 – di italico spumante metodo classico (fuori produzione) è davvero difficile che si ripresentino. A cosa mi riferisco? Al Brut Evoluzione di Trevisiol, famiglia conosciuta per la produzione di Prosecco e ora, forse, anche perché nascondeva in cantina un piccolo tesoro costituito da 18 mila bottiglie di metodo classico, divise, appunto, in sei annate diverse. In poche parole, una vicenda, e non sono il primo a raccontarla, legata alla passione che il padre degli attuali titolari, pur producendo Prosecco, nutriva per gli Champagne e per il Metodo Classico. Le uve – chardonnay e pinot bianco – provenivano dall’Alto Adige, la prima annata fu realizzata nel 1975 e l’ultima nel 1990. Delle prime dieci annate non c’è più traccia, ma l’occasione di proporre sul mercato le altre, rimaste lì ad attendere in cantina, non se la sono fatta sfuggire i loro distributori, vale a dire Area 6 Moon Import.

A ottobre 2017 è stata effettuata la prima sboccatura, senza aggiunte né rabbocchi per lasciare intatto il prodotto originale, e sono state create 550 confezioni in legno – come da foto – contenenti le bottiglie rappresentative delle 6 annate. L’obiettivo è di sboccare ogni anno una parte, decrescente, delle bottiglie residue per proporle sul mercato per ben dieci anni di fila.

È evidente che si tratta di un’operazione di marketing condotta con una cura per i dettagli in linea con la professionalità dei protagonisti; non sto qui ad andare nel particolare di costi e prezzi e a giudicare se siano modesti o eccessivi. Per dirla alla Boskov, dovrei tradurre “rigore è quando arbitro fischia” con “il prezzo è giusto quando cliente compra”.

Quello che invece mi compete maggiormente è l’impressione che ho ricavato sulla qualità degli spumanti assaggiati. Ribadisco, impressione e non giudizio dettagliato, dato che è stato un assaggio più emozionale che tecnico.

Il primo aspetto che risalta è lo stato di forma delle varie bottiglie (età media, tanto per non dimenticarselo, 30 anni) che appaiono davvero giovanissime. Per forza, si dirà, sono state “sboccate” solo qualche mese fa..Bene, sarà normale, ma chi leggerà sulla bottiglia 1986 e la troverà così viva e scattante, resterà inevitabilmente sorpreso.

Il secondo punto riguarda la mutevolezza dei vini una volta a contatto con l’aria. Sarà per i lunghi decenni passati in riduzione, ma ogni annata cambia profumi con cadenze ritmate. Variazioni curiose, interessanti, addirittura divertenti, non degenerative per intendersi. Il carattere è prevalentemente floreale con rimandi fruttati e speziati, ma potrei attingere ad un repertorio più vasto per comprenderne le tante sfumature e risultare, comunque, impreciso perché al momento del prossimo assaggio sono di nuovo cambiate.

L’ultima considerazione è relativa alla qualità intrinseca delle varie annate. Nessuna di esse ha conosciuto il legno: solo acciaio e vetro. Come già anticipato, l’uvaggio è costituito da chardonnay e pinot bianco, in un rapporto 70/30 nelle prime tre annate (1985, 1986, 1987), leggermente modificato in un 60/40 nelle altre (1988, 1989, 1990). Il livello qualitativo va dal buono all’ottimo, non siamo sul tetto del mondo, però ogni millesimo presenta caratteristiche spiccate e diverse: caldo e voluminoso il 1985; profondo, complesso, molto lungo il 1986; nervoso e vibrante il 1987; fermo e squadrato il 1988; sfumato, sottile, elegante, il 1989; ricco e intenso il 1990.

Insomma, il piacere è assicurato e la noia sconfitta. Che si vuole di più..

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