SELEZIONE VINI 2023: BRANCAIA

Sulla breccia da molti anni ormai, Brancaia continua a mantenere un profilo alto con vini ben eseguiti nonché dotati di un’eccellente materia prima. Sul piano stilistico in realtà qualche variazione o aggiustamento si è fatto avanti nel corso degli anni e da una “rappresentazione più internazionale” si è passati, con gradualità, ad effetti di maggior valorizzazione dei contenuti territoriali, coincidenti probabilmente con la raggiunta maturità degli impianti di Sangiovese.

L’interpretazione delle varie etichette di Chianti Classico appare così più definita e personale. L’annata 2020 rafforza questa sensazione con una riuscita davvero ottima sia della Gran Selezione che della Riserva di Chianti Classico.

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LE VERTICALI: CHIANTI CLASSICO RISERVA CAPARSINO e DOCCIO A MATTEO

A Radda in Chianti hanno costituito da tempo un’associazione tra produttori del territorio dal nome emblematico: “Vignaioli di Radda”. E in effetti la concentrazione di veri vignaioli e la loro proporzione rispetto alla somma complessiva delle cantine operanti in quel territorio, credo abbia pochi eguali nell’area del Chianti Classico.
Intendiamoci, oggi il termine vignaiolo e addirittura contadino ha assunto connotazioni talmente positive che molti titolari di aziende vinicole, di quelli che non hanno mai preso un attrezzo agricolo in mano o travasato neanche una damigiana, amano definirsi tali ma, come sappiamo bene, le vie del marketing sono infinite.

Non è certamente il caso di Paolo Cianferoni del Podere Caparsa che vignaiolo è nato e vignaiolo è, senza nessun equivoco. E lo è stato anche nei tempi meno felici di adesso, quando coltivare una vigna e fare vino a Radda, e a Caparsa in particolare, appariva come uno sforzo improbo e scoraggiante.
Oggi la situazione è fortunatamente cambiata, anche grazie alla perseveranza di quei vignaioli che non hanno mollato, e ovviamente grazie all’innegabile cambiamento climatico ma non solo: i nuovi impianti di vigneto, la loro gestione, la visione complessiva e le prospettive concrete che il territorio del Chianti Classico nel suo insieme è riuscito a creare, hanno permesso una rinascita dell’intera area.
La duplice degustazione verticale ha preso in esame tre annate recenti della Riserva Doccio a Matteo e quattro della Riserva Caparsino. Personalmente ho sempre preferito lo stile sobrio e rigoroso del Caparsino rispetto al Doccio a Matteo, indirizzato nelle sue prime uscite su un profilo meno tradizionale, con toni boisé in chiara evidenza. Gli assaggi di questa occasione, riferiti, come accennato, alle ultime annate uscite, hanno invece sancito il passaggio verso uno stile più maturo e consapevole da parte della Riserva Doccio a Matteo che ha abbandonato le incertezze e gli ammiccamenti della sua fase giovanile. Nel complesso si tratta di due vini che, nonostante nel tempo siano passati dalla originaria impronta scorbutica a forme via via più “civilizzate”, continuano a esprimere con forza e senza mezze misure il carattere poco docile ma certamente autentico del territorio di origine e, con buone probabilità, anche del loro autore.

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SELEZIONE VINI 2023: POGGERINO

Non inserisco nessuno dei vini di Poggerino tra le “Stelle” dell’anno semplicemente perché mancano della componente sorpresa. Infatti non è per niente sorprendente verificare, una volta di più, l’alta qualità dei Chianti Classico – di qualsiasi tipologia – prodotti da Piero Lanza, vignaiolo vero e non di facciata. Sottolineo questo aspetto perché è dal meticoloso lavoro di vigna che nascono vini dalla struttura così ricca ed espressiva. Lo stile adottato è senz’altro personale, probabilmente non accontenta né quelli che prediligono i Sangiovese leggeri, sfumati, scarni nel colore e nel frutto, né coloro che preferiscono caratteri più internazionali, con robuste dosi di rovere e altre uve complementari.
I vini di Poggerino deluderanno entrambi gli schieramenti in quanto sono soprattutto coerenti con sé stessi e il proprio territorio di origine. Robusti e longevi come pochi altri, risultano praticamente imbattibili proprio nelle “piccole” annate (il Chianti Classico 2014 è ancora oggi formidabile).
Gli assaggi di questa stagione mettono in particolare rilievo (ma anche questa non è una sorpresa) la Riserva Bugialla 2020, probabilmente non la migliore di sempre ma indubbiamente ottima.

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SELEZIONE VINI 2023: le “Stelle” dell’anno, episodio N. 9

Produrre Pinot Nero ha sempre rappresentato una sfida per molti vignaioli di qualsiasi origine e latitudine. Il fatto che ne derivi un vino il cui fine è emozionare più che piacere, ha costituito una sorta di attrazione fatale alla quale è sempre stato difficile resistere, sia per esserne l’eroico autore sia per poter arrivare a consumarlo: in fondo da “ragazzi” (come esperienza di beva s’intende) tutti ci siamo innamorati del pinonnero e, conseguentemente, della Borgogna…

Oggi non è più una cotta giovanile, è diventata una moda: dichiarare di essere amanti della Borgogna e del suo vitigno più rappresentativo è un po’ come rendere noto il proprio status di appassionato evoluto e far sapere agli altri di avere un palato raffinato che ritiene disdicevole e quasi volgare bere altri vini e ancor meno quelli da blend: “dopo il Pinot Noir accetto solo cru storici da monovitigno vale a dire alcuni (non tutti, eh) Barolo e Barbaresco, qualche Côte Rotie, alcuni Sangiovese e poco altro“.

Peccato che anche il Pinot Noir (leggi Borgogna) abbia un po’ perso il fascino di una volta quando era così ricco e intenso nei profumi che lo annusavi e riannusavi senza deciderti a berlo. Ed era questo l’aspetto che ti seduceva maggiormente. Oggi i Borgogna sono mediamente più ricchi e strutturati ma decisamente meno profumati. Eccellenti, forse più completi,  ma un filo meno emozionanti. Le variazioni climatiche – checché se ne dica – si sono fatte sentire, provocando un anticipo del periodo di vendemmia che ha ridotto la forbice dell’escursione termica con effetti penalizzanti per il corredo aromatico.

Tuttavia, nonostante il clima meno favorevole, la quantità di Pinot Nero proposto anche dai produttori nostrani è cresciuta vistosamente negli ultimi anni anche se io resto affezionato a un’etichetta che ha preceduto le mode. Sto parlando de Il Cenno di Colle Bereto, azienda di Radda in Chianti che lo produce ormai da decenni. L’annata 2020, assaggiata nei mesi scorsi, si guadagna (in verità per mancanza o quasi di competitori) lo spazio di questa rubrica come miglior Pinot Nero prodotto in Chianti, francamente non arriva proprio ad emozionare, ma è riuscita anche in questa occasione a farsi apprezzare per il suo stile originale: aromi nitidamente varietali su un’impalcatura strutturale inconfondibilmente chiantigiana.

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SELEZIONE VINI 2023: le “Stelle” dell’anno, episodio N. 4

La quarta puntata della rubrica “stellata” non la dedico stavolta a una celebrità conclamata della nostra enologia ma a un vino che ha avuto una sua rinomanza negli anni 80/90 e che, dopo una lunga pausa di assenza, è tornato a farsi apprezzare. Chi non è nato ieri si ricorderà del Querciagrande del Podere Capaccia, azienda di Radda in Chianti che nel tempo ha cambiato assetto e proprietà. L’etichetta, se la memoria non mi inganna, esordì con l’annata 1983 come vino da tavola, dato che, come Sangiovese in purezza, non poteva rientrare nella tipologia dei Chianti Classico. Fu un ottimo esordio, seguito da alcune annate di livello ancora più alto, come la 1985 e la 1988. Il proprietario era Giampaolo Pacini, industriale pratese che è stato uno dei pionieri benemeriti del cosiddetto Rinascimento enologico toscano. Oggi la nuova proprietà, entrata in possesso del Podere dal 2010, a giusta ragione sta cercando di rinverdire i successi del passato e la prova del Querciagrande 2019 non è solo eccellente ma assolutamente incoraggiante per il futuro.

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