BOLGHERI 2024

Il 2, 3 e 4 luglio, grazie alla gentile disponibilità del Consorzio di Bolgheri, ho effettuato, con la collaborazione di Claudio Corrieri, il consueto giro di assaggi delle nuove annate in uscita dei vini del territorio bolgherese.
Il disciplinare della DOC prevede la presentazione sul mercato del millesimo 2023 per le tipologie di Bianco, Vermentino e Rosato, del 2022 per il Bolgheri Rosso, del 2021 per il Bolgheri Superiore e le tempistiche non cambiano per quanto riguarda la quota dei vini fuori dalla DOC (generalmente Toscana o Costa Toscana IGT). Ovviamente ci sono produttori che preferiscono rimandare le uscite e proporre in degustazione annate precedenti alle sopra citate, ma si tratta di una netta minoranza.
Le attese (degli stessi produttori) sulle annate 2021 e 2022 (parlando di vini rossi) erano ben diversificate tra loro. In particolare la 2021 è stata annunciata come una grande annata: calda ma senza gli eccessi di secchezza estiva e, soprattutto, le copiose piogge settembrine della 2022. Uve sane, mature e bilanciate, con i presupposti ideali per ottenere vini ambiziosi. Come è ben comprensibile, si tratta di un giudizio estremamente sintetico che si trascina dietro tutti i limiti di una inevitabile generalizzazione: la diversità di vitigni e suoli presenti a Bolgheri comporta reazioni, soluzioni e risultati non così omogenei da vino a vino, da produttore a produttore. A questa, ovvia, considerazione vanno aggiunti altri aspetti non compresi nelle indagini analitiche che riportano pH, gradi alcolici, maturazioni fenoliche e quant’altro. Mi riferisco agli atteggiamenti e agli umori che spesso si generano quando prevale largamente l’ottimismo dopo una vendemmia felice e c’è chi, in questi casi, tende a strafare o, al contrario, ad allentare la presa.
Alla resa dei conti posso concludere che effettivamente la 2021 è una grande annata se la misuriamo sui picchi qualitativi raggiunti dai migliori vini, ma non posso dire  altrettanto se la rapportiamo all’insieme dei vini assaggiati, in quanto sul piano stilistico siamo tornati, in più di un caso, a esibire inutili concentrazioni, con ingerenze del rovere che credevo facessero ormai parte del passato.

La 2022, valutata sui riscontri ricevuti dai Bolgheri Rosso, tutto sommato si difende egregiamente anche se dimostra in effetti più di un limite, con un frutto che in alcuni casi tende alla surmaturazione, mentre in altri è invece un po’ carente e lascia spazio all’invadenza dell’alcol e/o dei tannini (poco maturi). Un giudizio più completo e affidabile sull’annata è comunque rimandato al prossimo anno con l’uscita dei “Superiore”.
Per quanto riguarda le altre tipologie mi limito a sottolineare – parafrasando il titolo di un famoso film – che Bolgheri non è un paese per (vini) bianchi. Non approfondirò la questione anche se, a onor del vero, qualche piccola luce brilla timidamente nel buio.
Ricordo infine, come ho già accennato più volte, che quest’anno non pubblicherò, almeno inizialmente, le valutazioni e relative classificazioni delle varie tipologie di vini ma darò la precedenza alle schede dedicate alle singole aziende, contenenti il riepilogo degli assaggi degli ultimi anni.
Al momento sono già presenti, in area abbonati, i Report relativi a 20 cantine bolgheresi e, a breve, sarà disponibile anche il resto.

LE VERTICALI: Fornacelle Foglio 38

Dopo aver messo tutti in guardia (qui) dalle insidie delle scelte modaiole e in particolare dalla tendenza progressiva a produrre Cabernet Franc in purezza, non poteva che capitarmi l’occasione di una verticale imperniata, ma guarda un po’, su un Cabernet Franc proveniente, ariguarda un po’, da Bolgheri. Ma non devo rimangiarmi niente, anzi ribadisco quello che ho già sostenuto, anche perché il vino di cui tratterò in questa interessante verticale di 12 annate è stato pensato, ideato e prodotto in un periodo al di sopra di ogni sospetto, con una scelta più da pionieri che da scimmiottatori modaioli da quattro soldi; sto parlando del Foglio 38 dell’azienda Fornacelle.
Per essere più espliciti, quando a fine anni novanta Stefano Billi e la consorte Silvia hanno piantato quell’ettaro, o poco più, di Cabernet Franc, era il momento d’oro del Merlot che veniva piazzato un po’ da tutte le parti, anche al posto delle antenne satellitari. L’esordio assoluto è avvenuto nel 2001 ma il primo imbottigliamento ufficiale è coinciso con la vendemmia 2004. L’agronomo Paolo Granchi ha fugato le mie perplessità ricordando che il terreno scelto per l’impianto possiede caratteristiche congeniali al “Franc”, grazie alla presenza di calcare non drenante in grado di conservare una sufficiente riserva idrica per l’esigenze del vitigno, al quale, come dovremmo sapere, non dispiace tutto sommato di avere la “testa al caldo” a patto che i “piedi stiano al fresco”. In cantina la saggia consulenza di Fabrizio Moltard ha indirizzato poi l’azienda su criteri razionali di gestione rispettosa dei risultati della vigna, con uso di piccoli legni, nuovi solo in parte, per l’affinamento ed estrazione calibrata dei tannini, con l’intento di realizzare un vino equilibrato, di personalità ma senza eccessi caratteriali, tendenzialmente più fresco ed elegante che potente e concentrato.

Fin qui tutti d’accordo ma le variabili climatiche, stagione per stagione, non hanno nessun accordo da rispettare e costituiscono la parte imprevedibile, pur se affascinante, di ogni progetto viticolo. L’assaggio effettuato ha pertanto rilevato alti e bassi, facendo il conto con l’iniziale gioventù dei vigneti, l’adattabilità del vitigno al territorio, le annate via e via sempre più estreme. Non è un caso, tuttavia, che i responsi più convincenti siano emersi nelle annate definibili, certo un po’ sommariamente, più fresche o, almeno, meno secche. Dal 2004 al 2020 si è manifestato uno sviluppo che, partendo dall’espressione dei caratteri varietali, ovviamente dominanti nelle prime uscite, ha assunto una configurazione più completa e matura, collegata sempre più con la matrice territoriale.
Alla resa dei conti resta l’impressione di un percorso ormai avviato e indirizzato, grazie anche alla presenza di una nuova ed efficiente cantina di vinificazione, verso l’identità idealizzata a suo tempo e nelle ultime annate – pur assai diverse tra loro – il Foglio 38, divenuto nel 2012 Bolgheri Superiore da semplice IGT che era, ha raggiunto una definizione stilistica e una compattezza d’insieme decisamente incoraggianti per il futuro.

Le note di degustazione sono consultabili qui, in area abbonati.

SELEZIONE VINI 2023: le “Stelle” dell’anno, episodio N. 14

Le Gonnare di Fabio Motta è un Bolgheri Superiore che ha già avuto modo di farsi conoscere dagli appassionati; non sarebbe quindi una sorpresa per molti ma in parte lo è stata per il sottoscritto che, pur avendolo sempre apprezzato, non è mai arrivato ad esaltarlo. Non so se sia un merito specifico dell’annata 2020, se sia cambiato qualcosa nella lavorazione del vino o nell’uvaggio, o se, finalmente, sono incappato in un campione più “fortunato” del solito, ma stavolta ho riconosciuto nel vino non solo quella mano calibrata nell’esecuzione (che in verità non è mai mancata) ma anche il sostegno di una materia prima più convincente sul piano della profondità, dell’integrità e serbevolezza della struttura.

Le note di assaggio sono consultabili qui, in area abbonati.

LE TENDENZE 2. Affrancateci dal Cabernet Franc.

Negli anni novanta e a cavallo dei duemila, il Merlot ha conquistato sempre più spazio nei vigneti europei e anche del nuovo mondo. Dalle nostre parti, sulla spinta dei successi di mercato di alcune etichette, la tendenza a piantarlo, forse senza neanche verificare se davvero clima e terreni fossero proprio congeniali al vitigno bordolese, ha assunto ritmi frenetici. Le variazioni climatiche in atto in questo secolo hanno dato, in più di un caso, il colpo di grazia e attualmente non si può che constatare che una parte non irrilevante di quei vigneti abbia fatto una brutta fine, essendo stati estirpati o sovrainnestati con altre uve, dimostrando che a suo tempo la scelta era stata superficiale e frettolosa.

Ora, dato che piantare un vigneto e poi spiantarlo non è semplice come cambiare un maglione o un paio di scarpe della misura sbagliata, ogni anno prendo nota con una certa diffidenza dell’esordio dell’ennesima etichetta di Cabernet Franc, rigorosamente in purezza perché, come ho già avuto modo di segnalare, il monovitigno va “forte”. Solo a Bolgheri, ma la tendenza è generalizzata, se ne contano – tra doc e igt – più di una ventina.

Pur sperando che la lezione del Merlot sia servita e che tali scelte siano state dettate da attente valutazioni sulle caratteristiche di suoli, sottosuoli e microclimi, temo che anche in questo caso la molla dell’imitazione di qualche successo di mercato abbia creato un ulteriore fenomeno modaiolo. Certamente si dirà che il Cabernet Franc non è il Merlot, che è molto più adatto ai nostri climi e terreni, da noi matura bene, non è altrettanto precoce e via dicendo.
Tuttavia io continuo ad affidarmi ai responsi del “bicchiere” e i risultati che osservo non giustificano affatto tale proliferazione. Il che non significa che non ci siano C. F. buoni e anche ottimi. Ma sono una minoranza.

Allora, oltre alla prova del bicchiere, cerco di dare peso alle testimonianze “storiche” e a un briciolo di letteratura sull’argomento.
Le origini del Cabernet Franc si perdono nel tempo ma è opinione comune che il vitigno sia arrivato a Bordeaux e successivamente nella Loira dalla Spagna, anzi dai Paesi Baschi per essere precisi. Dall’incrocio del Franc con il Sauvignon Blanc sembra sia derivato il Cabernet Sauvignon, mentre dalla combinazione con la Magdeleine Noire des Charentes (vitigno scomparso o quasi) è nato il Merlot. Il Cabernet Franc è pertanto il progenitore dei principali vitigni bordolesi ma a Bordeaux – dove d’altro canto domina la cultura dell’assemblaggio – nessuno in concreto lo produce in purezza. Lo troviamo, ma in misura decisamente minoritaria, sulla riva sinistra, dove la prevalenza di ghiaia e sabbia è ben più congeniale al Cab. Sauvignon che predilige terreni caldi; ha un ruolo invece da protagonista sulla riva destra, soprattutto a Saint Emilion, grazie alla presenza di suoli calcarei (finezza e personalità) e anche argillosi (struttura e vigore) nei quali il Franc trova la freschezza ideale, come gli succede in quelle denominazioni della Loira (essenzialmente Saumur-Champigny e Chinon) che lo vedono protagonista assoluto e dove al calcare e all’argilla superficiale si aggiunge il tufo, che fa da spugna trattenendo le risorse idriche indispensabili per la corretta maturazione delle uve. In sintesi, visto che la stessa combinazione di terreni, magari scambiando il ruolo di argilla e calcare, è amata anche dai Merlot, si potrebbe forzare il concetto affermando che il Franc ha più aspetti in comune con il Merlot che con il Cabernet Sauvignon. E in effetti anche in tempo di vendemmia lo vediamo raccogliere poco dopo il Merlot ma sicuramente prima del Cab. Sauvignon. Non è proprio precoce ma neanche tardivo. Non teme quindi le stagioni calde (meglio se non torride) ma a patto che siano associate a terreni assolutamente freschi.
In conclusione, considerando che il clima della Loira, mitigato quanto si vuole dalla presenza del fiume (molto vicino ai vigneti peraltro), è un po’ diverso da Bolgheri e dalla Toscana in genere e che di tutto questo calcare poroso (a stella marina o astéries come dicono in Francia) in certe zone non ve ne è proprio traccia, sarei un po’ più cauto nel fare troppo affidamento sul Cabernet Franc. Soprattutto in purezza.
Ma moda e mercato sono una combinazione diabolica alla quale è evidentemente difficile resistere.

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