BORDEAUX PRIMEURS 2022: CHÂTEAU LATOUR

Sempre molto puntuale nel fornire i dati tecnici relativi allo sviluppo dell’annata, Ch. Latour descrive così le caratteristiche eccezionali del millesimo 2022:

Lo stress idrico avvenuto molto presto dopo l’allegagione, per le condizioni di eccessivo calore del mese di maggio fino a metà giugno, ha portato a una significativa sintesi polifenolica nelle bacche e a un basso ingrossamento cellulare, rendendole molto resistenti alla scottatura. Il deficit idrico, che è aumentato durante l’estate, ha favorito la continuazione del carico polifenolico sulle bucce e ha accelerato la maturazione della struttura tannica dei vinaccioli e delle bucce. Le temperature molto calde di agosto hanno portato a una degradazione precoce degli acidi organici e degli aromi vegetali varietali, già poco sintetizzati prima dell’invaiatura. La rapida maturazione dei tannini ha limitato il divario tra maturazione tecnologica e fenolica. Anche il mese di settembre è stato secco, con 26 mm di pioggia, offrendo condizioni ideali per la raccolta…

Alla prova del bicchiere nel 2022 di Latour convivono mirabilmente una serie di caratteri apparentemente contrapposti tra loro come opulenza e freschezza, pienezza e slancio, complessità tannica e bevibilità, in un insieme di rara armonia e straordinaria completezza. Latour 2022, pur facendo intuire un potenziale incalcolabile di longevità, è pertanto già molto espressivo e leggibile in questa fase rispetto al passato; un aspetto che è emerso anche nel parallelo con l’annata 2015 provata nell’occasione della visita, visto che dal 2012 Latour è uscito dal circuito delle vendite en primeurs e corrispondentemente ha deciso di far uscire i suoi vini sul mercato con qualche anno di ritardo rispetto alla consuetudine bordolese. Certamente non si può negare che lo spostamento dei tempi di uscita in commercio come la sterzata verso il regime biodinamico dei vigneti più pregiati (oltre la metà sono ormai gestiti in “bio”), costituiscano un passaggio storico significativo che non lascia spazio ad alcuna speculazione.
Tornando agli assaggi, ho avuto quindi la possibilità, grazie alla gentilezza della proprietà e in particolare del suo direttore tecnico, Hélène Genin, di testare anche le nuove uscite dei vini dello Château, ovvero il Pauillac di Latour 2018, Les Forts de Latour 2017 e il Grand Vin dell’annata 2015.
Il Pauillac non finisce mai di sorprendere: profumato di ribes nero e liquirizia, è dotato di un impatto potente e autorevole sul palato, di progressione e densità a centro bocca e di un finale che recupera d’incanto tutte le doti di freschezza dell’annata e le mette in mostra dando respiro e spinta alla beva. Buonissimo, migliore di numerosi crus classée e quasi certamente senza rivali con i suoi “pari grado”.
Un prevedibile tocco di complessità in più caratterizza invece Les Forts de Latour che, a dispetto di un millesimo non facile come il 2017, ha esibito concentrazione, freschezza e tannini dalla grana finissima.
Il Grand Vin 2015, infine, suscita viva ammirazione per il dinamismo, il ritmo serrato, lo stile raffinato espresso con precisione e completato dall’elegante corredo floreale (rose e violette) dei profumi. In chiusura si affacciano con incisività i tannini su uno sfondo dai toni minerali come a sottolineare la gioventù del vino e la bontà della scelta (almeno dal punto di vista di chi pensa alla qualità al di sopra di ogni calcolo) di posticiparne l’uscita.

Per quanto riguarda invece le note di assaggio relative ai 2022 vi ricordo che sono consultabili qui, nello spazio riservato agli abbonati.

SELEZIONE VINI 2023, MONTEFALCO ROSSO E SAGRANTINO DI MONTEFALCO

Inizia una nuova stagione di assaggi e ho deciso, con cadenza settimanale, di pubblicare in tempo reale, o quasi, le prime impressioni positive e i vini meritevoli di attenzione. Non saranno quindi recensiti tutti i vini provati (li pubblicherò più avanti, azienda per azienda), né arriverò per il momento a fare il punto critico sullo stato di forma di ogni denominazione o territorio. Le conclusioni si tireranno alla fine ma credo che al momento possa tornare utile ai lettori avere sottomano i primi riscontri.

Inizio la rassegna, senza commenti se non quelli dedicati ai vini recensiti, con i Montefalco Rosso e i Sagrantino di Montefalco che troverete qui nello spazio riservato agli abbonati.
Nel primo gruppo sono presenti i vini delle cantine:
Adanti, Benedetti Grigi, Fongoli, Tenute Lunelli-Castelbuono.
Nel secondo:
Antonelli, Benedetti Grigi, Colle Mora, Colpetrone, Di Filippo, Fratelli Pardi, La Veneranda, Moretti Omero, Tenute Lunelli, Terre de La Custodia.

BORDEAUX PRIMEURS 2022: CHÂTEAU LÉOVILLE LAS CASES

Dei quasi 100 ettari complessivi di vigneto dello Château più della metà sono racchiusi nei confini del Clos di Las Cases e ancora oggi sono suddivisi nelle stesse numerose parcelle dai caratteri ben distinti, come si vede anche nella vecchia mappa del 1901, quando la proprietà (oggi siamo alla quinta generazione della famiglia Delon) era ancora di Théophile Skawinski, il primo in effetti a separare le vigne situate sul lato che affianca la Gironda – a destra della strada D2 provenendo da Bordeaux – da quelle a sinistra che costituiranno il futuro Clos du Marquis che in effetti non è il secondo vino ma “l’altro” vino di Las Cases. Il secondo vino, ottenuto dalle masse scartate di entrambi, è infatti Le Petit Lion: uno “scarto” (tutto è relativo) che vorrei bere ogni giorno. Gran parte dei vigneti, come dicevo, sono nel cuore dell’azienda, costeggiano la Gironda e sono separati da quelli di Latour, dall’Enclos di Latour per la precisione, da un piccolo ruscello. Non è un caso evidentemente che quest’anno nel Médoc, a partire proprio da Las Cases, nessuna vigna disposta sulla linea costiera, nell’ordine: Las Cases, Latour, Pichon Comtesse, Haut-Bages Libéral fino a salire a Montrose ha dato risultati meno che eccellenti.

Deuxième cru stabilito dalla famosa classificazione del 1855, Château Léoville Las Cases sarebbe probabilmente in prima fila per salire di grado se oggi ci fosse una revisione della vecchia graduatoria. Ma, in ogni caso nessuno può togliere a Las Cases il grande prestigio che si è guadagnato nel tempo mettendo a segno una serie infinita di annate di alto livello.

Tuttavia con il millesimo 2022 la definizione “alto livello” diventa persino limitativa e forse inadeguata: si tratta infatti di un vino semplicemente sbalorditivo per un’annata da favola che rende giustamente orgoglioso il capo enologo, o chef de cave se vi piace, vale a dire il bravissimo Umberto Marino (dalla Sicilia alla Gironda..), che pensa e spera possa restare scolpita a lungo negli annali dello Château. Ed è difficile dargli torto, visto che personalmente faccio fatica a ricordare in questa fase un Las Cases così convincente ed espressivo. Dotato di una grana tannica finissima e di una profondità entusiasmante, profumatissimo e dalla progressione incalzante, è davvero un grandissimo vino.
Per ora la chiudo qui anche perché non riesco a non aggiungere “issimo” a qualsiasi aggettivo che mi viene a mente e finirei per rendere annoiatissimo anche il lettore più tenace.

Le note degli assaggi effettuati durante la visita a Las Cases sono consultabil qui, nello spazio riservato agli abbonati.

BORDEAUX PRIMEURS 2022: CHÂTEAU LAFLEUR

Non sto a ripetere ciò che ho già riferito dopo la visita a Lafleur dello scorso anno (potete leggerla qui) ma mi piace rimarcare alcuni aspetti che rendono davvero singolare, non solo a Pomerol e nell’intera regione bordolese, lo Château della famiglia Guinaudeau, a partire dalla scelta di privilegiare un’impostazione “borgognona” puntando alla diversità e alla caratterizzazione di crus specifici, contrapposta al pensiero dominante in area bordolese fondato sulla selezione delle migliori uve disponibili nella proprietà (anche se spesso corrispondenti a determinate parcelle) da destinare al Grand Vin. In questo senso è emblematica l’evoluzione che ha avuto “l’altro” vino di Lafleur che fino a non molti anni fa era il secondo vino: Les Pensées.

Les Pensées
Les Pensées de Lafleur nasce infatti come second vin nel 1987 per volontà di Jacques e Sylvie Guinaudeau con l’obiettivo di selezionare le uve migliori da destinare a Ch. Lafleur lasciando a Les Pensées le uve dei vigneti più giovani. Così è rimasto fino al secolo scorso ma, a partire dal 2000 ecco che prende forma e sostanza l’idea di non seguire un criterio selettivo su tutta l’estensione delle vigne (soltanto 4,5 ettari) ma di iniziare a delimitare gradualmente le parcelle di suolo dai caratteri omogenei che alla fine costituiranno il cru dei Pensées: una striscia, irregolare e profonda, di 0,7 ettari composta in prevalenza da argilla, sabbia e scarsa presenza di ghiaia (graves). Un suolo dalle caratteristiche tipiche del territorio di Pomerol al punto che Les Pensées, diventato ormai un cru autonomo, si avvicina allo stile attuale dei vini della denominazione ancor più di Lafleur, che costituisce un modello di vino unico e poco assimilabile ad altri.

Les Perrières
L’ennesima prova di grandezza di Ch. Lafleur, che nell’annata 2022 ha raggiunto vertici assoluti, non credo stupisca più nessuno. Le note di assaggio, consultabili in zona abbonati, sono più che esplicite al riguardo per cui non voglio insistere in toni elogiativi e preferisco parlare del cru Les Perrières, prodotto nella proprietà originaria della famiglia, lo Château Grand Village, situato nell’area di Fronsac.
È una vigna di 3 ettari e mezzo argillo-calcarei, poco profondi, nella zona di Meyney. Dopo una serie di annate sperimentali proposte con il nome di Acte (da 1 a 9), con il millesimo 2018 ha assunto il nome definitivo di Les Perrières (pietre o pietraie) che ricordiamo come toponimo frequente anche in alcuni crus di Borgogna (Mersault, Puligny-Montrachet..). L’intento è di riprodurre con lo stesso uvaggio (Cabernet Franc e Merlot in parti uguali), anzi con gli stessi cloni, un vino come Lafleur in un’area diversa ma non distante da Pomerol e dalla reputazione infinitamente meno prestigiosa visto che è imbottigliato semplicemente come Bordeaux Supérieur. Quando sottolineo gli stessi cloni mi riferisco in particolare al Bouchet che è il nome assunto dal Cabernet Franc in alcune aree della riva destra. Il Bouchet di Lafleur deriva da una selezione massale ottenuta nel 1930 dal vecchio proprietario, André Robin, e mantenuta in vita dalle figlie Thérèse e Marie dopo le gelate del 1956. Oggi il Cabernet Franc di Lafleur è in realtà quel Bouchet e lo stessa, identica varietà è stata piantata nei suoli di calcare a “astéries” (stelle marine) presenti a Les Perrières. Sembra che, oltre a Lafleur, il Bouchet sia presente soltanto in qualche vigneto di Ausone e di Cheval Blanc con marginali presenze a Vieux Château Certan e a Figeac. Si dice inoltre che, rispetto al Franc, sia meno fruttato ma più articolato sul piano aromatico, meno corposo ma anche meno duro nei tannini che sono più fini e setosi; solo apparentemente più delicato, in realtà è il Bouchet a dare l’ossatura e il nerbo intorno al quale si avvolge – come sempre da comprimario, anche se in questo caso di lusso – il Merlot.
Ho assaggiato per la prima volta Les Perrières 2021 lo scorso anno e la seconda quest’anno con il 2022 e debbo dire che è un vino con una personalità già così forte e netta da non potersi dimenticare facilmente. Uno dei pochi per i quali non è sprecato o fuori luogo l’utilizzo del termine “minerale”. Tensione, freschezza, verticalità, sapidità, finezza tannica, purezza espressiva, sono i termini che ricorrono sistematicamente tra le note di assaggio. Non sono in grado di poter fare confronti e affermare con certezza che queste caratteristiche dipendano dal calcare de Les Perrières o dal ruolo del Bouchet ma sono portato a pensare che la combinazione – gestita sapientemente – tra i due fattori sia la chiave vincente di un vino destinato a lasciare il segno a lungo.

D’altro canto, quando sei di fronte a una realtà dove la proprietà (rappresentata “fisicamente” dai figli Baptiste e Julie) è sempre presente e dove il capo enologo, Omri Ram, non ostenta il suo palato finissimo ma rivela un animo più da vigneron che da cantiniere, parlando con fervore dell’influenza dei terreni, dei cloni e, in genere, della vigna più che indugiare su barriques e tempi di macerazione, non dovresti più avere solidi motivi per provare meraviglia.
Ma davanti a certi vini non si può restare impassibili…

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