SELEZIONE VINI 2021: CASA ALLE VACCHE

Inauguro, con Casa alle Vacche, le recensioni dedicate in questa stagione alle aziende di San Gimignano. Un esordio non scelto casualmente in quanto l’ampia proposta produttiva presentata – 9 etichette recensite – è corrisposta da un livello qualitativo crescente che si concretizza con un’eccellente versione 2018 della Vernaccia di San Gimignano Riserva Crocus. I motivi di interesse non si esauriscono con questo exploit e credo che anche il fatto di puntare alla valorizzazione dei vitigni autoctoni minori – canaiolo, ciliegiolo e colorino – con un taglio stilistico improntato volutamente alla semplicità e all’immediatezza di beva, sia meritevole di un giusto riconoscimento.

Seguono, per gli abbonati, le note di degustazione.

ASSAGGI SPARSI (MAREMMA) N. 22

La degustazione è un esercizio ripetitivo ma certamente non noioso e prevedibile. Anche in un lotto ristretto di campioni è possibile individuare motivi di interesse, curiosità e riflessione. Nel mettere insieme questo gruppo di assaggi, relativo a vini prodotti da aziende maremmane, è emersa con nettezza la eterogeneità delle proposte qualitative che, per quanto parziali e al di là della buona qualità espressa, trasmettono un forte senso di confusione stilistica e strategica. Il migliore assaggio dei vini della Morisfarms è risultato essere un sangiovese con piccole aggiunte di cabernet sauvignon, per l’azienda Mocali un ciliegiolo, per Pianirossi si è affermato invece un blend a base di petit verdot, cabernet sauvignon e montepulciano d’Abruzzo, e, ancora, tra i vini di Poggio Maestrino ha ben figurato un petit verdot in purezza. Chiudo, in bellezza, con Casavyc il cui vino più sorprendente (sorpresa nella sorpresa) ha finito con l’essere un ottimo, e ribadisco ottimo, Spumante Brut Rosé ricavato da pinot nero il cui nome – a riveder le stelle – dice tutto. O forse niente.

Seguono, per gli abbonati, le note di degustazione.

I VINI DI SAN FERDINANDO

Sono sempre stato favorevolmente colpito dal frutto pulito e succoso del Ciliegiolo di San Ferdinando e continuo ad esserlo anche dopo questo giro di assaggi, anzi, lo sono ancora di più per la precisione, la cura dei dettagli, l’accresciuta profondità di questo rosso derivante da un vitigno destinato, chissà perché, a non essere mai preso troppo sul serio e che la famiglia Grifoni ha proposto anche in una riuscitissima versione in Rosato. Lo stile aziendale è d’altro canto coerente anche con le altre etichette prodotte, dal Vermentino al Pugnitello, senza dimenticare l’ottimo Chianti Podere Gamba, tutti i vini di San Ferdinando si distinguono per la nitidezza del frutto, la freschezza e l’equilibrio. Vini da bere subito e nondimeno provvisti di insospettate doti di tenuta nel tempo, come ha dimostrato, nella degustazione effettuata, il sorprendente Ciliegiolo Rosato 2018.

Seguono, per gli abbonati, le note di degustazione.

Orbetello nel Bicchiere

 

Non sono solito fare il resoconto di fiere, festival, sagre ed eventi similari, ma c’è sempre un’eccezione e questi brevi appunti riguardano la mia partecipazione a un concorso enologico – “Orbetello nel Bicchiere” – che si svolge ogni anno e anche quest’anno quindi (dal 31 ottobre al 4 novembre), appunto a Orbetello nel corso della manifestazione enogastronomica Gustatus.

Non è la prima volta, intendiamoci, che presenzio a questo tipo di iniziative, ma negli anni ho sempre più diradato il mio intervento in quanto generalmente la struttura dei concorsi prevede una serie di formalità che li rendono poco incisivi e stimolanti, con risultati resi approssimativi anche per l’estrazione (e la professionalità) molto diversa di ogni giurato.

Emblematica, nonostante l’alto livello di competenza dei singoli attori, fu, a tal proposito, l’esperienza con una degustazione del Grand Jury Européen, del quale facevo parte un paio di secoli fa. In omaggio al paese ospitante – mi sembra di ricordare che per l’occasione eravamo a Villa d’Este – fu organizzata, tanto per non annoiarsi troppo ad assaggiare solo Grands Crus di Bordeaux e Borgogna, una degustazione di vini bianchi italiani. Il criterio di scelta fu basato, chissà perché, su basi geografiche: un vino per ogni regione! Sappiamo bene come certe regioni italiane siano ricchissime di proposte di vini bianchi e come certe altre (Basilicata, Molise..) siano un po’ più a corto. Ma un criterio doveva essere adottato e così fu. Degustazione rigorosamente alla cieca, come sempre al Grand Jury, una trentina gli assaggiatori di alta reputazione, il meglio della critica enoica continentale e non solo. Il problema era che il termine di riferimento non era costituito dai Riesling della Mosella o dai Mersault, ma da strani, particolari, insoliti (per quei palati) vini bianchi italici. Per farla breve, si piazzarono ai primi posti un Sauvignon altoatesino, uno Chardonnay siciliano e un Traminer trentino. Le varietà, evidentemente, più familiari e rassicuranti. Personalmente avevo indicato ai primi due posti (non ricordo l’ordine) i rappresentanti dell’Abruzzo e delle Marche: Trebbiano di Valentini e Verdicchio di Bucci. Entrambi, al conteggio finale, si collocarono a metà graduatoria. Dallo scrutinio emerse inoltre che nessuno aveva scelto uno dei tre vini in cima alla classifica come il suo preferito ma un po’ tutti li avevano piazzati in buona posizione e ciò era stato sufficiente a vederli finire in vetta.

Una degustazione che era servita a far uscire i migliori vini? No, direi proprio di no, ne sono pienamente convinto, ma spesso così sono i concorsi e le degustazioni di gruppo dove non emergono i vini ricchi di talento e carattere ma quelli che sono capiti da tutti e che non dispiacciono a nessuno. Il che è già, indubbiamente, un pregio ma è anche il trionfo del convenzionale e dell’anonimo. Anonimi i vini, anonimi i degustatori, convenzionale il contesto generale e inesistente qualsiasi forma di coinvolgimento.

Non è stato il caso di “Orbetello nel Bicchiere” dove di anonimo c’erano soltanto le etichette dei vini da assaggiare e giudicare. La formula è, come dire, un po’ “casereccia”, non certo ambiziosa e altamente professionale come le degustazioni del Grand Jury, (il paragone è oggettivamente improponibile, c’è solo qualche anno-luce di differenza) ma, a mio modo di vedere, efficace e funzionale allo scopo, previsto dall’iniziativa, di valorizzare i prodotti del territorio. Intanto, il solo fatto che la giuria non fosse composta da un numero elevato di membri ha permesso di favorire l’individuazione di un taglio critico delle scelte da effettuare. Il resto, a partire dall’affiatamento con i miei compagni di giuria, Fabio Pracchia e Franco Pallini, è stato improntato all’originalità e, perché no, anche al gusto della scoperta.

Le scelte finali sono pertanto derivate non solo dall’arido conteggio delle preferenze ma anche da un confronto dialettico tra i giurati, con l’idea condivisa di privilegiare, a parità di valori qualitativi, i vini portatori di un’identità territoriale più espressiva. Come credo che, alla resa dei conti, sia effettivamente successo.

Per la cronaca, l’assaggio, effettuato alla cieca, ha visto prevalere, nelle rispettive categorie il Maremma Vermentino DOC Plinio 2017 dell’azienda Bruni, il Toscana Bianco IGT Ansonica 2017 di Celestina Fè, il Morellino di Scansano DOCG Riserva Sicomoro 2015 dei Vignaioli del Morellino e il Maremma Ciliegiolo DOC Principio 2017 di Antonio Camillo. Si è aggiudicato, infine, il Premio Speciale, intitolato a Giovanni Prisco, la Fattoria Le Spighe di Giancarlo Francia con il suo Maremma Toscana Bianco DOC EraOra 2017.

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