Un Aglianico del Vulture che lascia il segno

 

Spesso le divergenze che emergono tra gli addetti al settore e tra gli appassionati nell’apprezzamento di un vino sono correlate alle singole preferenze stilistiche: chi ama i vini più potenti e concentrati, chi preferisce, al contrario, l’agilità e la bevibilità, chi privilegia la tipicità classica anche se un po’ ruvida e disadorna e chi è più ben disposto verso vini dai toni morbidi e densi. Insomma, potrei continuare all’infinito con esempi contrapposti ma, alla resa dei conti, ognuno finisce con il difendere, anche strenuamente, le proprie scelte. Almeno fino al prossimo cambio di tendenza modaiola…

Fortunatamente, ma assai raramente, esistono anche vini che mettono tutti d’accordo in virtù della loro armonia e completezza. Uno di questi è emerso negli assaggi più recenti che ho effettuato ed è un vino appartenente ad una delle tipologie più classiche e “gloriose” dell’enologia italiana: l’Aglianico del Vulture.

Lo produce una delle firme più affidabili del contesto lucano, Elena Fucci, e le note che seguono sono, probabilmente, più esplicite di qualsiasi svolazzo dialettico.

 

Aglianico del Vulture DOC Titolo 2016

 

L’assaggio è stato effettuato, insieme a Claudio Corrieri, in un singolare e serrato confronto con l’annata 2015 dello stesso vino che, lo scorso anno, descrivevo così: “di colore scuro ma brillante, profondo al naso con note di cassis, prugne, viole e cenere; l’attacco sul palato è insieme denso e fresco, il tannino è fitto e morbido, associa mirabilmente il carattere con la finezza – chiude lunghissimo e articolato nello stuzzicante confronto tra frutto e mineralità – vino di alta levatura, dal grande potenziale di longevità”.

Oggi non posso che confermare tali caratteri anche se il vino appare in un momento di chiusura e prevale maggiormente il segno della potenza che non quello della finezza. Soprattutto se rapportato direttamente all’annata 2016 che appare altrettanto compatta ma già in grado di esprimersi con una dinamica e una freschezza ammirevoli; il fronte aromatico è definito su un’alternanza fra i tratti fruttati e quelli minerali tipici del territorio – grafite, cenere – e il sapore vero e proprio fa perno su tannini fini e un tatto decisamente elegante, soffice, capace di esplorare con successo la profondità. La chiusura è molto lunga e rinfrescata dall’acidità oltre che rinvigorita da una succosa sapidità. Un vino semplicemente splendido, che concilia, appunto, il moderno con il classico e il voto che gli assegno risente della personale preferenza che attribuisco alla freschezza, all’eleganza, all’armonia complessiva: 97 centesimi ci stanno proprio tutti.

 

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