Il prezzo da pagare, ovvero “Signori si nasce”

A fare il prezzo di un vino importante in passato contribuivano soprattutto la rarità e la reputazione oltre, ma in misura molto marginale, la pubblicità. In una fase successiva la pubblicità è stata quasi del tutto sostituita dalla critica la cui incidenza ha acquisito via via maggior peso fino a diventare sempre più ingombrante, con qualche deprecabile degenerazione ma con il merito di permettere a tutti i produttori, anche quelli che avevano minor forza commerciale e non potevano sostenere campagne pubblicitarie, di salire alla ribalta, avere la visibilità e l’autonomia economica per investire in modo da raggiungere livelli qualitativi sempre più alti.
Oggi si è creata una condizione per cui è nuovamente la pubblicità a sostituire la critica. In che modo? Semplice, travestendosi da critica. Si fa passare per giudizio critico solo quello che in realtà è una forma camuffata, o almeno non dichiarata, di pubblicità.
Un tempo la distinzione tra un’opinione vera e una a pagamento era palese e chiaramente evidenziata, oggi una parte del pubblico più giovane forse non sa neanche che esistono opinioni libere, o meglio, dubita che ci siano e gli sembra normale che per scrivere commenti lusinghieri su un vino ci si faccia pagare da un mondo produttivo che evidentemente ha totalmente rimosso gli effetti positivi creati da una presenza critica “sana” e costruttiva ed è spinto ad alimentare la parte “degenerata” diventando – anch’egli – sempre più consenziente e appecoronato a un sistema che finirà – come succede ormai in molti settori della nostra società – solo per allargare la forbice della ricchezza (e del potere) tra produttori e territori più e meno fortunati.

Possiamo maledire la globalizzazione del mercato che ha ampliato talmente la domanda dei vini di pregio da provocare un’impennata che ha collocato certe etichette e certe tipologie fuori misura e fuori tasca.
Possiamo inveire contro certi meccanismi di marketing che, prescindendo dalla qualità reale di un prodotto, provocano un aumento incontrollato della domanda.
Possiamo puntare il dito su chi – altro fenomeno recente e sempre più vistoso – il vino lo compra solo per specularci sopra e non per berselo.
Possiamo disquisire all’infinito se sia davvero necessario inventarsi – ripetutamente – etichette tipo la Limited Edition X o le confezioni speciali in cassette foderate di velluto e decorate da ricami dorati, con doppie magnum vendute al prezzo di un diamante.
Possiamo sdegnarci quanto vogliamo della spregiudicatezza di alcuni produttori (e soprattutto dei loro distributori) che, sfruttando il momento favorevole, hanno quintuplicato – avete letto bene, aumentato del 500% e non esagero – il prezzo del loro vino nel giro di pochi anni.

Ma si corre solo il rischio di essere tacciati di inutile moralismo.

Non resta, allora, che farne, al solito, una questione di stile e lo stile va di pari passo con la reputazione che i produttori seri si costruiscono nel tempo; non è un genere commerciabile, non si acquista sul “libero mercato” ma, alla lunga, il suo valore può rivelarsi inestimabile.
In fondo – come diceva il grande Totò – “Signori si nasce e io lo nacqui”.

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