Non troverete nelle mie recensioni una presenza smodata di descrittori aromatici perché è un modo di raccontare il vino non in linea con un taglio descrittivo che vuole essere critico, in quanto non esiste nessun collegamento tra la varietà e la quantità di aromi percepiti (ma in molti casi solo immaginati) e la qualità intrinseca di un vino. Senza considerare inoltre che quindici o venti profumi diversi, oltre a essere difficilmente e stabilmente presenti nei vini di qualsiasi genere e luogo, rendono solo più complicata e inesplicabile, pur se gradevole e divertente, la lettura.
Senza voler dare lezioni a nessuno e meno che mai a chi mi legge, ma solo per puntualizzare la mia posizione in merito, sottolineo che il vino si annusa principalmente per verificare che non ci siano difetti o alterazioni in corso e la lista di odori collegati alla presenza di volatili, di ossidazioni, di brettanomices, di sentori collegati a botti o tappi poco sani e via dicendo, è effettivamente corposa. Il passaggio successivo, quello che si presta a variopinte e multiformi descrizioni, serve a individuare i caratteri prevalenti e più significativi che ci segnalano il livello di maturità delle uve, i vitigni utilizzati, l’incidenza dei terreni, il grado di evoluzione, gli eventuali contenitori nei quali ha svolto l’affinamento e via dicendo.
Sono però gli aromi che avvertiremo anche sul palato a determinare, fondendosi con i sapori in senso stretto, il vero gusto di un vino. Il fatto che esso sia più o meno alcolico, acido o tannico, che sia equilibrato o disarmonico, concentrato o leggero, lungo o corto, non ci permette, senza il fondamentale apporto aromatico, di identificare il suo vero gusto e dare una risposta a chi ci chiede semplicemente: “di cosa sa questo vino?”.
Ho fatto queste riflessioni nel leggere, anzi rileggere per l’ennesima volta il libro (edito nel 1990) di Matt Kramer “Making sense of Burgundy”, un testo che ogni appassionato di vino e di Borgogna in particolare dovrebbe possedere nella sua biblioteca, anche se oggi il mondo è pieno di “bambini” che invece di leggere guardano solo le figure.
A pagina 222 Matt Kramer parla della Romanée-Conti (un produttore minore della Borgogna..) e del vino omonimo, riportando una conversazione con Madame Lalou Bize Leroy (comproprietaria del Domaine) nella quale lui affermava di preferire La Tâche al più prestigioso e costoso Romanée-Conti e Madame Lalou rispondeva sorprendentemente di avere impiegato 20 anni per capire che R.-C. era il vigneto più importante della proprietà; fino a quel momento il suo cuore batteva più forte per La Tâche. E l’autore spiega che non si può dire che R.-C. sia superiore ma che deve la sua fama al fatto che è una perfect sphera: una sfera perfetta può essere sottoposta a qualsiasi pressione senza che si rompa perché la pressione è uguale su tutti i lati in ogni momento. E continua asserendo che: “non è mai massiccio come il Richebourg. Né è intenso e selvaggio come La Tâche. È migliore di quei giganti? Non proprio. Ma la sua completezza, unita alla sua straordinaria raffinatezza, lo rende unico”.
Ed eccoci alla domanda che si pone (anche) Matt Kramer, anticipando i suoi lettori: che sapore ha Romanée-Conti?
La risposta è secca: è soprattutto speziato. Poi articola maggiormente il concetto aggiungendo che “la forza di questo aspetto aromatico è così intensa che può quasi sembrare innaturale. La famosa terrosità di Vosne-Romanée è compenetrata in R.-C. con più sfumature di qualsiasi altro vino. È etereo, ma capace di invecchiare molto più a lungo di quanto il suo peso strutturale non eccessivo potrebbe far pensare”.
Tuttavia, per chi non fosse convinto da Matt Kramer, ho un altro asso nella manica e non è Superciuk, ma Hugh Johnson che, nel suo famoso “Atlante mondiale dei vini”, parlando di Romanée-Conti afferma che si distingue per finezza, calore vellutato, opulenza quasi orientale e uno speciale aroma di spezie”. Non cento profumi, quindi, per descrivere il vino rosso più costoso del mondo ma solo uno speciale aroma di spezie, tratto aromatico confermato peraltro da Matt Kramer con il suo forte profumo speziato.
Certo, la descrizione in questi casi può apparire sin troppo ermetica, ma ciò che conta è il richiamo evocativo: anche un solo profumo è sufficiente per far ricordare quel vino e fare crescere la voglia di assaggiarlo.
Visto però che una bottiglia costa più di una Panda, gran parte del genere umano che beve vino può solo ricorrere all’immaginazione, pensando magari a quel forte e speciale aroma di spezie, oppure decidere di restare a piedi.
In cambio di una bottiglia di Romanée-Conti, ovviamente.