Con due soli anni di ritardo rispetto al momento dell’assaggio, pubblico la recensione del Filemone, Vermentino prodotto a Suvereto da La Fralluca. Per qualche mese ho cercato vanamente quei fogli dove avevo scritto gli appunti, ma niente da fare, si erano nascosti – hanno fatto tutto da soli – tra le pagine di un librone pesantissimo pensando di non essere mai scovati ma, alla fine, la verità è venuta a galla. Ed è emerso anche il fatto che alla fine bisogna ammettere che computer e tablet a qualcosa servono. Tanto per avere un quadro più completo, ho aggiunto anche gli appunti – riportati sul Mac stavolta – di un’altra mini verticale effettuata nel 2017 e ho corredato il tutto con le preziose annotazioni sulle caratteristiche delle varie annate fornitemi scrupolosamente, all’epoca dell’assaggio di due anni fa, dai titolari dell’azienda.
Il report completo è consultabile in zona abbonati ma credo che sommariamente si possa arrivare ad alcune ovvie e inevitabili conclusioni:
– i vini bianchi in genere non godono in Italia di particolare considerazione sul piano della longevità anche se, con molta lentezza, c’è un certo ripensamento
– tra i vini bianchi, il Vermentino è una di quelle varietà che su questo piano riscuote ancora meno credito
– la costa toscana – tra maremme alte, basse e medie non ce n’è una che si salva – non è passata alla storia per la inesauribile freschezza dei suoi vini bianchi.
Al di là delle prove di “resistenza” ossidativa, nel Filemone si apprezza il senso di estrema nitidezza, aromatica e gustativa, che risalta in tutte le annate e in qualsiasi periodo di assaggio; emerge anche la presenza costante di un’acidità viva e di gradi alcolici contenuti che fanno ipotizzare scelte viticole, compresa l’individuazione del momento di raccolta, atte a preservare l’integrità del frutto e salvaguardare l’acidità, supportate coerentemente da tecniche di cantina che niente concedono all’ossidazione. Un ruolo non secondario nel caso del Filemone è tuttavia giocato dalla composizione del terreno, i cosiddetti “sassi dei Barbiconi”, che si è rivelato capace di trattenere quel minimo di riserva idrica traducibile automaticamente in un potenziale acido più alto e nello stesso tempo contenere lo sviluppo vegetativo in una misura congeniale ad un accumulo equilibrato di zuccheri nelle uve.
Come sono solito ripetere, la terra e l’essere umano sono i due cardini fondamentali (anche se propendo maggiormente per il secondo fattore) per ottenere buoni e magari grandi vini, in grado di superare gli ostacoli naturali e la consueta serie di pregiudizi che da sempre esiste nel mondo del vino: che gli scettici provino – se lo trovano – un Filemone 2010 e la smettano una buona volta di stupirsi di un vino bianco ancora più che buono dopo una decina di anni.