INNATURALE NATURALEZZA

Il fatto che una parte dei consumatori odierni, per vari motivi, ami esplorare le alternative al vino cosiddetto “convenzionale”, attraversando l’articolata giungla di vini naturali, ipernaturali, bio e super-bio, costituisce un tema che non va liquidato con superficialità. Bere “naturale”, tornare al vino di una volta, quello del contadino, contiene un messaggio potente: basta con il vino convenzionale tutto uguale, omologato, noioso, infarcito all’inverosimile di prodotti enologici, poco genuino e, forse, anche poco salubre ma non certo poco costoso. Torniamo, letteralmente, all’uva pigiata con i piedi e, in alcuni casi purtroppo, al vino fatto anch’esso, non solo letteralmente, con i piedi, ma in grado di soddisfare il bisogno diffuso di schiettezza, inducendo a immaginare un mondo idilliaco, dove la figura del “contadino” viene mitizzata e assume contorni eroici. Chi, come me, ha comprato davvero il vino (rigorosamente in damigiana) dai contadini di un tempo che, in alcuni casi, di genuino e di ingenuo avevano ben poco, è, comprensibilmente, un po’ più scettico al riguardo. Nondimeno possono risultare poco credibili, anzi quasi irritanti, certi interventi che sentenziano quanto sia facilmente percepibile in assaggio la presenza di lieviti selezionati oppure, nel sacro nome della naturalezza, affermare risolutamente che non si dovrebbe usare il legno ma l’acciaio! Che, come tutti sanno, si trova normalmente disponibile in natura: le famose foreste di acciaio della Ruhr.
Tuttavia, al di là delle sparate più assurde, è evidente e assodato che non si può che sostenere chi propone una viticoltura più rispettosa dell’ambiente, un’enologia meno invasiva e una, conseguente, valorizzazione delle diversità.

Ma credo che lo stesso rispetto sia dovuto al consumatore “sano” e alla sua intelligenza, evitando di propinargli vini corredati di cento difetti spacciati come “prova di naturalezza”, oppure dichiarare di combattere i vini convenzionali perché omologati e tutti figli del solito protocollo operativo, mentre oggi è pratica diffusa tra molti “naturalisti”, sia produttori che enologi, seguire pedissequamente le mode del momento come, ad esempio, le vinificazioni a grappolo intero o in presenza di raspi, applicate in modo sistematico, prescindendo dalle caratteristiche delle annate o del tipo di uva. Con il prevedibile risultato di proporre a loro volta vini molto simili tra loro. Figli anch’essi di un (diverso) protocollo. Anch’essi omologati e omologabili, alla faccia della naturalezza e della salvaguardia delle diversità.

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