SELEZIONE VINI 2023/2024: TOLAINI

Non dico niente di nuovo, ribadisco anzi un concetto che ho espresso più volte e sintetizzo così: la sensibilità e l’intelligenza di un produttore non sono meno importanti del valore innato di un territorio ovvero senza un territorio vocato non si può fare vino ma quanto esso possa essere buono dipende essenzialmente dalle scelte delle persone che lo realizzano.
Lo spunto per tale affermazione me lo ha fornito l’assaggio dei vini di Tolaini, cantina attiva da un quarto di secolo a Castelnuovo Berardenga. Non ho difficoltà ad ammettere che non sono mai stato entusiasta della produzione proposta fino a pochi anni fa. Vini certamente poco criticabili sul piano tecnico ma anche poco comunicativi e portatori di uno stile vago, convenzionale, tendenzialmente internazionale, con il Sangiovese relegato inizialmente a un ruolo da comprimario, come raramente capita di osservare in Chianti Classico. Certamente nel corso degli anni non sono mancate alcune interpretazioni azzeccate e bottiglie di pregio ma, in rapporto al notevole impegno (non solo in termini di investimenti ma anche di passione) profuso dalla proprietà, sono state sporadiche e mai del tutto convincenti su tutta la linea.
D’altro canto è pur vero che il passaggio a una maturità stilistica compiuta richiede tempo, è frutto di una somma di esperienze che portano attraverso vari passaggi a individuare il percorso giusto e non è mai precisamente replicabile da una realtà all’altra. Ecco quindi che oggi Lia Tolaini Banville, dopo aver affiancato per anni il compianto Pier Luigi Tolaini, padre e fondatore dell’azienda, è riuscita, con il supporto fondamentale dello staff tecnico interno diretto dall’enologo Francesco Rosi, ad aprire e consolidare un tracciato che punta a valorizzare gli aspetti di naturalezza e territorialità dei vini rispettando la ricerca dell’equilibrio: una frase che assomiglia a uno slogan già sentito ma che tradotta in concreto significa evitare i protocolli rigidi, le surmaturazioni, l’uso eccessivo di rovere nuovo e di metodi estrattivi, tanto per sottolineare alcuni aspetti. Nello specifico oggi si preferisce calibrare gli interventi con misura, in funzione della tipologia e delle caratteristiche dell’annata, puntando in certi casi a macerazioni anche molto lunghe ma limitando i rimontaggi e abolendo o quasi la pratica del délestage, facendo minor uso di legni piccoli in favore di contenitori gradualmente più ampi e in buona sostanza monitorando l’evoluzione con assaggi sistematici. I vini hanno così iniziato ad assumere una forma più proporzionata e decifrabile, sono più bilanciati ed espressivi, il Sangiovese è tornato al centro delle attenzioni ma l’eccellente potenziale evidenziato anche dalle uve bordolesi – cabernet sauvignon, franc e merlot – non è stato certamente disperso.

Il resoconto degli assaggi è consultabile qui, in area abbonati, ma posso anticipare che le maggiori sorprese arrivano dal Vallenuova 2021 (il miglior Chianti Classico “annata” mai realizzato da Tolaini) e dal Legit 2020 che giustifica – anzi Legit..tima – l’utilizzo del Cabernet Sauvignon in zona Berardenga.

Il Prünent e gli altri vini delle Cantine Garrone

Ho recentemente dedicato una serie di recensioni ai vini dell’Alto Piemonte, tra i quali si è messa in buona evidenza la produzione delle Cantine Garrone, azienda della Val d’Ossola che propone una serie di etichette, a base ovviamente di Nebbiolo, degne di sicura attenzione. Non voglio scadere in facili retoriche visto che il messaggio da lanciare è semplice e concentrato nel concetto che gestire una vigna e produrre vino in un altopiano prealpino nascosto dal mondo, con vigneti posizionati tra 450 e 600 metri di altitudine, è tanto suggestivo quanto temerario. Tuttavia i fratelli Garrone non si sono scoraggiati e si sono buttati con entusiasmo in un’avventura che ha anche lo scopo di rivitalizzare la viticoltura storica di un territorio altrimenti destinato a essere abbandonato. Una motivazione nobile e meritevole di essere incoraggiata soprattutto se in grado di esprimere vini di qualità e carattere.

Come, in effetti, ho puntualmente verificato nella piccola verticale (5 annate) del Nebbiolo Prünent descritta qui, insieme al resto della produzione.

AGGIORNAMENTI: LA TENUTA DI GHIZZANO

L’incontro con i vini della Tenuta di Ghizzano, anche se svoltosi in un contesto conviviale e non proprio tecnico, mi ha rafforzato le impressioni pubblicate giusto un anno fa sulla bontà della svolta interpretativa operata da Ginevra Venerosi Pesciolini. Forse il termine svolta è un po’ eccessivo in quanto il percorso per arrivare alla visione attuale è stato graduale, ragionato e fatto di continui confronti, ma l’idea di vino proposta nei primi anni duemila si può ben dire che oggi ha compiuto, se non un ribaltamento, sicuramente un’evoluzione decisiva.
 Nell’occasione mancavano ovviamente le condizioni per stilare note e relativi punteggi ma a distanza di qualche mese mi resta forte il ricordo di un Nambrot 2018 (Terre di Pisa Doc) davvero elegante, raffinato e profondo, sicuramente tra le migliori versioni di sempre (se non La Migliore). Ma non posso tralasciare i vini – rosso e bianco, 2019 e 2020 – della linea Mimesi: il primo è un Sangiovese in purezza che concilia felicemente – cosa rara – carattere ed equilibrio e fa assumere al vitigno contorni sempre più definiti e personali; il secondo – il Mimesi Bianco – è fresco, profumato, piacevolissimo, una sorpresa assoluta considerando che a Ghizzano in un tempo neanche lontano i vini bianchi non avevano neppure “diritto di cittadinanza”…

SELEZIONE 2022/23: CASTELL’IN VILLA

Gestita con straordinaria energia, sensibilità e perseveranza dalla principessa Coralia Pignatelli della Leonessa, Castell’in Villa fa parte con pieno merito del ristretto gruppo delle aziende di maggior pregio del territorio del Chianti Classico e, conseguentemente, dell’intera Toscana, anche se buona parte dei critici (?) ha riconosciuto il suo valore con colpevole ritardo. L’assaggio effettuato nei mesi scorsi del Chianti Classico 2018 e della Riserva “edizione speciale in” 2016 non ha deluso, confermando con la consueta autorevolezza il prestigio attribuito alla cantina. Certamente, come ho già avuto modo di sottolineare di recente (vedi qui), non apprezzo molto le edizioni speciali, specialmente se accompagnate, come in questo caso, da vistosi aumenti di prezzo, ma visto che queste ardite soluzioni commerciali sono state percorse con largo anticipo da produttori con assai meno titoli e storia di Castell’inVilla, la chiudo qui, ricordando che questi vini sul piano della qualità assoluta, del potenziale di longevità e, soprattutto, della personalità, non sono secondi a nessuno.

Seguono, per gli abbonati, le note di degustazione.

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