SELEZIONE VINI 2023: le “Stelle” dell’anno, episodio N. 9

Produrre Pinot Nero ha sempre rappresentato una sfida per molti vignaioli di qualsiasi origine e latitudine. Il fatto che ne derivi un vino il cui fine è emozionare più che piacere, ha costituito una sorta di attrazione fatale alla quale è sempre stato difficile resistere, sia per esserne l’eroico autore sia per poter arrivare a consumarlo: in fondo da “ragazzi” (come esperienza di beva s’intende) tutti ci siamo innamorati del pinonnero e, conseguentemente, della Borgogna…

Oggi non è più una cotta giovanile, è diventata una moda: dichiarare di essere amanti della Borgogna e del suo vitigno più rappresentativo è un po’ come rendere noto il proprio status di appassionato evoluto e far sapere agli altri di avere un palato raffinato che ritiene disdicevole e quasi volgare bere altri vini e ancor meno quelli da blend: “dopo il Pinot Noir accetto solo cru storici da monovitigno vale a dire alcuni (non tutti, eh) Barolo e Barbaresco, qualche Côte Rotie, alcuni Sangiovese e poco altro“.

Peccato che anche il Pinot Noir (leggi Borgogna) abbia un po’ perso il fascino di una volta quando era così ricco e intenso nei profumi che lo annusavi e riannusavi senza deciderti a berlo. Ed era questo l’aspetto che ti seduceva maggiormente. Oggi i Borgogna sono mediamente più ricchi e strutturati ma decisamente meno profumati. Eccellenti, forse più completi,  ma un filo meno emozionanti. Le variazioni climatiche – checché se ne dica – si sono fatte sentire, provocando un anticipo del periodo di vendemmia che ha ridotto la forbice dell’escursione termica con effetti penalizzanti per il corredo aromatico.

Tuttavia, nonostante il clima meno favorevole, la quantità di Pinot Nero proposto anche dai produttori nostrani è cresciuta vistosamente negli ultimi anni anche se io resto affezionato a un’etichetta che ha preceduto le mode. Sto parlando de Il Cenno di Colle Bereto, azienda di Radda in Chianti che lo produce ormai da decenni. L’annata 2020, assaggiata nei mesi scorsi, si guadagna (in verità per mancanza o quasi di competitori) lo spazio di questa rubrica come miglior Pinot Nero prodotto in Chianti, francamente non arriva proprio ad emozionare, ma è riuscita anche in questa occasione a farsi apprezzare per il suo stile originale: aromi nitidamente varietali su un’impalcatura strutturale inconfondibilmente chiantigiana.

Le note di assaggio sono consultabili qui, in area abbonati.

SELEZIONE 2022/23: PANIZZI

Tutti coloro che si occupano di vino, e non solo di Vernaccia, conoscono, o dovrebbero conoscere, l’importanza e il ruolo che ha avuto Panizzi per la crescita del territorio sangimignanese, per cui non sto a ripercorrerne i passaggi. L’attualità ci consegna una cantina che continua a perseguire gli obiettivi qualitativi originari che mantengono la Vernaccia Riserva e la Vigna Santa Margherita al vertice della produzione aziendale. La novità più interessante degli ultimi anni è pertanto costituita dall’aver abbracciato la sfida temibile con il Pinot Nero. I riscontri sono incoraggianti anche se in questa tornata ho trovato curiosamente meno attraente il carattere del teoricamente più ambizioso Ermius 2019 rispetto al Pinot Nero 2020.
Ma sarà il tempo a stabilire i veri valori.

Seguono, per gli abbonati, le note di degustazione.

SELEZIONE VINI 2021: CASTELLO DI POTENTINO

Sono affezionato al Castello di Potentino, al luogo dove si trova e che conserva ancora testimonianze concrete della presenza (anche enologica) etrusca, alle persone che ci vivono, lavorano e fanno il vino come Charlotte Horton, alle prime, sorprendenti e piacevolissime bottiglie di Sacromonte che uscivano agli inizi di questo secolo dalle cantine del Castello. Ma non sarei fedele a me stesso se continuassi a scrivere con questo tono mieloso, per cui cambio accento e prendo atto che con il tempo cambiano le cose e anche a Potentino, da un solo vino prodotto, si sia passati a una generosa sfilza di etichette. Non sto a indagare sulle motivazioni, soprattutto se commerciali, ma sul piano strettamente qualitativo confesso che se il Sangiovese Sacromonte non si fa preferire alle sue prime edizioni, il cambiamento attuato appare giustificato da un’interpretazione dell’Alicante Balaxus che segna un punto di riferimento per il vitigno nell’intera area maremmana, senza dimenticare che fra i tre (!) Rosati prodotti emerge la vibrante freschezza del Lyncurio, quasi a tracciare una nuova possibile strada per l’affermazione del Pinot Nero alle nostre latitudini.

Seguono, per gli abbonati, le note di degustazione.

Un Pinot Nero in Chianti

I vini basati su vitigni internazionali sono inevitabilmente soggetti ad essere comparati a livello assoluto – lo si è visto con le verticali di Riesling di Hérzu e del Kaiton – e l’esempio più fragoroso è fornito da chi si cimenta con il Pinot Nero. C’è chi lo produce per semplici motivi di mercato, il vino si deve pur vendere, ma la scelta modaiola è più frequentemente innescata da quella frangia di consumatori, che è sempre esistita e oggi si è forse amplificata, in costante ricerca di novità da inseguire, perseguire e poi abbandonare rincorrendo la successiva.
La larga maggioranza dei produttori è in realtà stimolata dalla passione e dal senso di sfida che è insita nell’idea temeraria di replicare un Musigny o un Pommard a latitudini diverse dalle originarie. Un atteggiamento ammirevole che ha sempre e dovunque costituito l’ingrediente fondamentale per alimentare la nascita di grandi vini e, in senso generale, le grandi imprese. Ma questa è una “scalata” impervia, per non dire impossibile.
Il valore della tradizione e dell’esperienza umana, forgiata da generazioni e generazioni di vignaioli, le innumerevoli mutazioni clonali, l’età media dei vigneti, la magica alchimia che rende così freschi i terreni, costituiscono solo alcuni dei punti a favore dei Pinot Noir della Côte d’Or, difficilmente replicabili in altri luoghi e anche se la materia sarebbe assai meritevole di essere approfondita, si può già intuire quanto sia problematica la gestione di un progetto che parta da zero in zone prive di un legame storico con il Pinot Nero.
Tuttavia sono numerose le cantine che non si danno per vinte e sembrano aver intrapreso una direzione nuova e concreta, lasciando perdere l’irrealizzabile sogno di scimmiottare un Richebourg o un Volnay e puntando alla realizzazione di vini in grado di fondere positivamente i caratteri del territorio con quelli varietali.
Piuttosto interessante è in tal senso la versione proposta da Alessandro Cellai nel suo Podere Monastero, in Chianti Classico, dove, a fianco del cabernet/merlot Il Campanaio, produce il Pinot Nero La Pineta, un rosso intenso che alterna i sapidi contrasti chiantigiani ai nitidi e caratteristici profumi del vitigno.

© 2016 ErGentili - build proudly by Stuwebmakers and Wordpress
contact: info@ernestogentili.
Privacy Policy