Non cambia solo il clima, cambiano i gusti, i portafogli sono sempre più leggeri e in fin dei conti, dato che il vino viene prodotto per essere venduto, è il mercato che comanda. Certamente, sempre al fine di vendere, fa comodo rivestire il prezioso liquido di leggende e poesie, mitizzando il legame con il territorio, il vitigno, la tradizione, la storia dei padri, degli avi e quant’altro. Se tutto ciò non fosse sufficiente – e non lo è – si passa semplicemente a produrre i vini che vuole il mercato, fossero anche rossi frizzanti o vini spumanti in una regione come la Toscana che non li ha mai prodotti. Così evidentemente va letto il recente comunicato della Regione Toscana che autorizza, appunto, la produzione di spumanti e rossi “petillant”. Ma non è il caso di guardare troppo per il sottile o fare i sofisti, perché, se vogliamo, è pure apprezzabile che chi legifera e governa mostri sensibilità per i quotidiani e crescenti problemi del mondo della produzione.
Tuttavia se è vero che i cambiamenti climatici, di gusti e di abitudini fanno emergere la necessità di aggiustare il tiro, rinnovare e/o modificare l’esistente, sarebbe anche il caso di dare una bella rispolverata a certi disciplinari di produzione che continuano a insistere su affinamenti (anzi il termine usato, e in questi casi quanto mai azzeccato, è invecchiamenti) estenuanti dei vini più prestigiosi che non solo debbono e dovranno misurarsi con gradazioni alcoliche elevate, ma anche con processi evolutivi sempre più marcati, in netta contraddizione con l’esigenza acclarata di freschezza e vitalità.
A completare il quadro del periodo natalizio arriva poi puntuale l’ennesima inchiesta (?) sul vino del programma televisivo Report che è riuscito, una volta di più, a dimostrare la propria inadeguatezza a trattare l’argomento. A tal proposito non posso evitare di recuperare e riproporre parte del testo della recensione – a cura del sottoscritto e di Fabio Rizzari – della Tenuta San Guido come appariva sulla Guida Vini de L’espresso 2004:
Assistiamo sconcertati a stroncature impietose del Sassicaia da parte di critici improvvisati che fanno soldi sul desiderio genuino dei neofiti di farsi un’opinione. Del resto indicare trionfalmente al mondo che “il re è nudo” è una moda antica. Checché ne pensino queste mezze figure, il Sassicaia rimane uno dei vini più fini che si producano in Italia….
Quella rivista dei “critici improvvisati” (ora non più pubblicata) in ogni numero metteva alla berlina i vini e i marchi più importanti confrontandoli con vini (industriali) da GDO dell’epoca dal costo assai più abbordabile, che, ma guarda un po’, finivano con l’essere sistematicamente più apprezzati da una non ben precisata commissione di assaggio. A distanza di oltre venti anni il ruolo di indicare al mondo che “il re è nudo” è stato evidentemente ereditato da trasmissioni come Report. E come al tempo, è bene ricordare a tutti che è una moda antica che speravo facesse ormai parte del passato e non del ricco e apprezzato bagaglio di esperienze e battaglie anche “culturali” della trasmissione di Rai Tre, che, al contrario, presenta al pubblico un servizio approssimativo, impreciso nei dati forniti, allusivo e ingannevole, condotto senza documentarsi (o volersi documentare) adeguatamente. E pensare che oggi i controlli effettuati dagli organismi preposti sono assai più assidui e precisi che in passato oltre che tracciabili e verificabili. Il che non significa che qualcosa non possa sfuggire ed è su queste eventuali lacune che ci attenderemmo un approfondimento per provare a tirar fuori (ammesso che ci siano) le vere magagne, come è stato giustamente fatto con il traffico “di carta” emerso nella puntata, ed evitare di far leva solo sulla “pancia” degli spettatori pur di fare audience. Non voglio farla troppo lunga ed entrare nei dettagli delle numerose manchevolezze, né tanto meno voglio ergermi a paladino delle case vinicole – se ritengono di averne i motivi ci penseranno per conto loro – ma quando si arriva addirittura, da inchiesta a farsa il passo è evidentemente breve, a insinuare l’idea balorda che qualsiasi vino (e sottolineo qualsiasi) sia replicabile in laboratorio, tentando di sostenere l’ipotesi con un test così maldestro da sfiorare la comicità, si tocca il vertice dell’inattendibilità, lanciando un messaggio fuorviante e inutilmente denigratorio per tutto il vino di qualità, nessuno escluso.