I VINI DI MONTENIDOLI

Non so quante volte ho scritto e parlato di Montenidoli ma, probabilmente, mai abbastanza per quello che Elisabetta Fagiuoli ha fatto per la Vernaccia di San Gimignano e per il vino bianco italiano. Il sentimento di rinnovato stupore che mi pervade ogni volta, dopo aver assaggiato il suo Fiore, il suo Carato e pure la Tradizionale – tanto per parlare solo di Vernaccia – non lo voglio tradurre in note organolettiche, che sono comunque riportate nello spazio abbonati, ma utilizzare per sottolineare un aspetto che avverto come sempre più decisivo e sul quale ho forse calcato la mano ultimamente. E mi riferisco al ruolo fondamentale svolto dall’intelligenza, dalla sensibilità, dalla passione e dalla caparbietà di chi il vino lo sogna, lo progetta, lo fa nascere. E mi chiedo se ci possiamo immaginare il Trebbiano d’Abruzzo senza Valentini, il Verdicchio senza Bucci, la Vernaccia senza Elisabetta Fagiuoli. Che ne sarebbe stato di queste tipologie? Avrebbero avuto la stessa storia? Certamente potrei citare molti altri artefici, in altre terre e in altri luoghi, ma il punto di arrivo sarebbe comunque lo stesso: non c’è soltanto il territorio, non c’è soltanto il vitigno.

Tre Anni Dopo: Vigneto di Popoli – VALLE REALE

 

Trebbiano d’Abruzzo DOC Vigneto di Popoli – VALLE REALE

Continuo imperterrito a battere sullo stesso tasto: è l’ora di rivalutare adeguatamente i nostri vini bianchi. La testimonianza a loro favore arriva stavolta dall’Abruzzo, senza dover scomodare una delle etichette più illustri della nostra enologia che, come tutti sanno, risponde al nome del Trebbiano di Francesco Paolo Valentini.

Sempre di Trebbiano vado però a trattare con il Vigneto di Popoli di Valle Reale, basandomi, come sempre, sul responso impietoso dato dal trascorrere del tempo e sugli effetti, spesso deleteri, che provoca nei vini. Alla resa dei conti debbo invece confessare che non mi attendevo che i già buoni riscontri ricevuti negli assaggi di tre anni fa concedessero un ulteriore margine di evoluzione positiva e non di, pur giustificabile, decadenza.

Le tre annate – 2010, 2012, 2014 – degustate nel 2017 avevano lasciato l’impressione complessiva di una tecnica esecutiva molto precisa, pulizia, con un equilibrio leggermente e, credo volutamente, sbilanciato sul piano della freschezza visti i gradi alcolici contenuti (non più di 12,5) e le acidità sostenute. Vini più “calcolati e introversi” che caratteriali e coinvolgenti, se proprio vogliamo trovare una sintesi approssimativa delle impressioni ricevute.

L’assaggio successivo, effettuato pochi giorni fa, ha riguardato solo l’annata 2014……
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