Considerazioni sparse dopo le anteprime toscane

Per motivi personali e con rammarico, ho dovuto saltare gli assaggi di Chianti, Morellino e della cosiddetta “Altra Toscana”, concentrati nelle giornate di domenica e venerdì, e ho quindi ripensato, al di là della qualità dei vini, agli aspetti che mi sono rimasti impressi nelle altre giornate dell’appuntamento enologico più importante della regione.
Cerco di procedere con ordine ma non garantisco la sintesi.

Partecipazione.
Le aziende del territorio sono state presenti in massa, con ben poche defezioni e, almeno numericamente, anche il fronte degli ospiti, intesi come stampa e buyer, ha riempito di volta in volta i locali messi a disposizione. Ho avuto la sensazione, solo la sensazione, non ho nessun dato a sostegno e potrei essermi sbagliato, di notare una presenza meno diffusa e incisiva di professionisti stranieri. Certo, la settimana non si conclude come in passato con i vini di Montalcino che costituivano un indubbio motivo di attrazione supplementare, ma almeno la concomitanza con Vinexpo a Parigi non si poteva evitare?

Le temperature di servizio.
Il periodo scelto per la manifestazione favorisce naturalmente le temperature di servizio dei vini rossi e infatti non sono mai emersi problemi da questo punto di vista; per quanto riguarda i bianchi – leggi San Gimignano – dopo due o tre secoli finalmente i vini non sono stati presentati a temperature glaciali e infatti erano più facilmente interpretabili. Questo è un punto di incomprensione storico con i sommelier, non solo di San Gimignano ma dell’intero emisfero boreale, e lo scandisco in sillabe perché non passi inosservato: non siamo a tavola, dove con le ostriche si beve un Muscadet (lasciamo stare lo Champagne) non fresco ma freddo, ma siamo in de-gu-sta-zio-ne (con vini giovanissimi che più sono freddi e più sono incomprensibili) dove sarebbe opportuno che le temperature fossero prossime a quelle di servizio dei rossi, ne consegue che vanno più che bene i bianchi a 14-15 gradi. Va da sé che se in futuro a San Gimignano, in luogo di tanti bicchieri e crackers, apparecchiassero una vassoiata di ostriche credo che la maggioranza degli assaggiatori, con il consueto spirito di sacrificio che la contraddistingue, si adeguerebbe a degustare anche le Ice-Vernaccia.

Tempi di servizio.
Gestione sicuramente più complessa dato che dipende a) dalla quantità di “clienti” da servire, b) dalla quantità di vini in lista, c) dalla quantità di sommelier disponibili, d) dalle caratteristiche e dimensioni dell’ambiente, tenendo conto che non si tratta di assaggiare più vini possibile ma di poterlo fare con il giusto ritmo, senza lunghe pause e improvvise accelerate. Intendiamoci: il servizio offerto è comunque preziosissimo, ciò non toglie che si potrebbe fare di meglio.
Venendo al punto a) teoricamente il numero di giornalisti e media che assaggiano non dovrebbe variare più di tanto da luogo a luogo ma in realtà, anche per comodità di locazione, sono le grandi sale della Leopolda a ospitarne il numero largamente più elevato; inoltre, a prescindere dal punto a), conta il rapporto tra vini da servire e persone incaricate del servizio. A tal proposito, punto b), sciorino alcune cifre ricavate dai vari cataloghi: a Firenze (Leopolda) con il Chianti Classico erano presenti (su due giorni) 511 vini, a San Gimignano 95, a Montepulciano 63. Sul punto c) non ho dati per esprimermi ma “a occhio” il rapporto tra vini e sommelier permetteva un servizio efficiente e puntuale a Montepulciano, un po’ meno a San Gimignano e ancora meno a Firenze. Stop.

Non solo assaggi in anteprima.
Erano previste, in ogni luogo sopra citato, comunicazioni, piccoli eventi o degustazioni di corredo alle anteprime. Tutto bene debbo dire, le idee prendono corpo e offrono un’immagine dinamica del territorio nel suo complesso. Mettendomi nei panni di un collega di un altro paese che torna dopo un anno e verifica che, almeno nella forma e nelle proposte, il progetto UGA del Chianti Classico non è rimasto per aria ma continua a fare passi in avanti: il prezioso corredo dell’estratto di carte dei territori preparate da Alessandro Masnaghetti, fornito a ogni partecipante ne è una tangibile e apprezzata dimostrazione. In pari misura procede a Montepulciano il progetto Pievi e continuano a San Gimignano le presentazioni, mai ripetitive, di vecchie annate di Vernaccia nella scenografica Sala Dante.

Accoglienza.
Ho francamente poco da dire su questo piano, visto che ho alloggiato solo una notte a Chianciano Terme e che dal 1700 evito, quando possibile, di partecipare a cene di gala o di benvenuto. Certamente non nascondo che di Chianciano ricordavo in passato pernottamenti in Hotel stile “Shining”, comprendenti il timore di veder apparire improvvisamente bambini che pedalano nei corridoi; fortunatamente quest’anno la cornice era assai più confortevole e rilassante. Delle cene di benvenuto ho già accennato della mia scarsa attitudine alla frequentazione anche nella considerazione che l’elevato numero di commensali mal si concilia con l’alta qualità della cucina, però debbo dire che quest’anno a Montepulciano è stata una di quelle occasioni in cui pensi che è valsa la pena esserci. Un menu centratissimo, ben coordinato con i vini, con piatti gustosi, ricchi di personalità eppure discreti e misurati. Debbo fare quindi un plauso sincero allo chef Emiliano Lombardelli del ristorante Dama Dama di Porto Ercole e alla scelta effettuata dal Consorzio del Nobile. Bravi.

Dulcis in fundo.
Infine chiudo con un vino, bevuto alla fine della cena suddetta. Un Vin Santo di Montepulciano. Classico colore ambrato, profumi che svariano da tutte le gamme di frutta secca alla liquirizia, ai marron glacèes, al miele di castagno, alle spezie orientali, agli agrumi confit, all’essenze di rose e ancora, insomma profumatissimo e ovviamente dolce e ovviamente denso ma non quella dolcezza stucchevole dove lo zucchero si affianca all’alcol, poi alla glicerina, poi di nuovo lo zucchero con lo zucchero e resti senza saliva, senza fiato, senza denti, senza voglia di riprovare a berlo. In questo caso al contrario la dolcezza va a braccetto con un’acidità dritta e continua che non ti abbandona mai, ti rinfresca e ripulisce la bocca e ti invita a berlo di nuovo. Lunghissimo, coinvolgente, irresistibile. Non dimenticate, come stavo per fare io, il nome del produttore: Villa S. Anna, annata 2012. Il migliore.

SELEZIONE 2022/23: POGGIOTONDO in Casentino

Anno dopo anno il Collefresco conferma di far parte dell’elite dei Vin Santo toscani e il millesimo 2013 costituisce un’ulteriore testimonianza della sua personalità, spiccata e originale. Ma l’azienda dell’avvocato Lorenzo Massart non è soltanto Vin Santo e l’annata 2019 del Sangiovese Poggiotondo e del Chianti Le Rancole si può annoverare tra le più riuscite e convincenti di sempre.

Seguono, per gli abbonati, le note di degustazione.

SELEZIONE VINI 2021: ROCCA DI MONTEGROSSI

Sottolineo spesso l’importanza di saper attendere il momento giusto per poter apprezzare adeguatamente un vino, ma ricordo anche che l’attesa non debba durare decenni, il mio è solo un invito a non essere troppo frettolosi con certe tipologie e generalmente è sufficiente lasciare scorrere una o due stagioni in più per coglierne gli aspetti fondamentali. Un preambolo necessario per introdurre gli assaggi dei vini di Rocca di Montegrossi che, escludendo le “bottiglie” più semplici e già godibilissime come il Chianti Classico 2019 e il Rosato 2020 del quale ho già trattato qui, esprimono con gradualità il loro vero carattere.
Non è un caso, quindi, che il Chianti Classico Gran Selezione San Marcellino 2016 e il rinomato Vin Santo 2010 siano stati proposti in assaggio solo quest’anno e non è un caso che i riscontri ottenuti siano stati eccellenti e ben meritevoli di questa attesa supplementare.

Seguono, per gli abbonati, le note di degustazione.

Il Vin Santo e altri vini della TENUTA di CAPEZZANA

Tra le etichette irrinunciabili dagli amanti del Vin Santo ha sempre un posto di rilievo quello prodotto dalla Tenuta di Capezzana che certamente ha segnato la sua storia e quella di Carmignano con i suoi rossi intensi e longevi, ma quando mette in pista il suo dolce nettare trova pochi rivali a contrastarla.
L’annata 2012, assaggiata pochi mesi fa, è in perfetta linea con l’alto standard qualitativo al quale ci ha abituato da sempre; non possiede forse la viva corrente acida e la profondità del millesimo 2010 a contrastare la sua straordinaria dolcezza e densità, ma non è in debito di freschezza e l’equilibrio è il suo punto di forza.
Tra gli altri assaggi debbo però segnalare di essere rimasto favorevolmente colpito dal disegno preciso e calibrato del Trebbiano 2019. Niente di eccezionale, intendiamoci, – Capezzana non è in Abruzzo.. – ma il tanto bistrattato Trebbiano toscano trova con questa interpretazione la sua piccola rivincita e una piena dignità.

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