BORDEAUX PRIMEURS 2022: CHÂTEAU ANGELUS

Lo staff di Château Angelus, tanto competente quanto gentilissimo, ritiene che la 2022 sfugga a qualsiasi comparazione con altre annate, arrivando a definirla, senza incertezze e false modestie, “maestosa”. Dopo averla assaggiata è effettivamente difficile pensarla diversamente e non ci si può stupire quindi di doverla considerare come una delle star della riva destra (e non solo).
42 ettari di vigneto – divisi tra Merlot, Cabernet Franc e un pizzico di Cabernet Sauvignon – sulle côtes di Saint-Emilion costituiscono il patrimonio viticolo della Tenuta, proprietà dagli inizi del ‘900 della famiglia Boüard de Laforet.
Il vino ha sempre goduto di alta considerazione ma la svolta decisiva verso le vette della denominazione è stata registrata negli anni ’80, quando Hubert de Boüard de Laforet ha gradualmente rinnovato le attrezzature di cantina e imposto un deciso cambio di rotta della produzione. La storia recente ha visto lo Château impegnato in una spiacevole sequenza di cause giudiziarie relative alla revisione della classificazione dei crus di St. Emilion che ha avuto la conseguenza finale di portare Angelus a rinunciare – come Ausone e Cheval Blanc – ad essere classificato. Ma non si è certo rinunciato a incrementare la qualità dei vini, abbracciando anche progressivamente scelte produttive di ispirazione biologica. Contrariamente a quanto si pensa, ad Angelus si ritiene il Merlot più adatto al calcare puro, mentre le argille profonde ben si addicono al Cabernet Franc che, in ogni caso, è considerato il vitigno più importante e caratterizzante dello stile Angelus, anche se presente in misura inferiore al Merlot. In cantina prevale una filosofia che privilegia una vinificazione in riduzione con affinamenti calibrati in funzione del vitigno e delle caratteristiche dell’annata. Non è un caso infatti, che con la crescita delle temperature e il calo della piovosità, abbiano fatto la loro comparsa anche alcune botti da 20 e più ettolitri dove matura una parte di Cabernet Franc, con l’ovvio obiettivo di mitigare con contenitori di affinamento meno ossidativi il calore delle annate più recenti.
Una scelta decisamente condivisibile, ispirata al buon senso e non al marketing come purtroppo succede spesso dalle nostre parti.

Gli appunti di degustazione di ChâteauAngelus, del secondo vino Carillon d’angelus e del terzo nominato semplicemente N. 3, sono consultabili qui, in area abbonati.

BORDEAUX PRIMEURS 2022: CHÂTEAU AUSONE

Per i dettagli storici e informativi relativi a Château Ausone vi rimando qui, all’articolo pubblicato poco più di un  anno fa, ma per chi vuole soltanto essere aggiornato sulle vicende dell’annata 2022 non posso che deludere drasticamente gli eventuali detrattori dei vini della famiglia Vauthier. Il Grand Vin, in particolare, è più che mai un Grand Vin e, al solito, il motivo trainante degli assaggi di questo millesimo è stato quello di chiedere una spiegazione del successo, tanto straordinario quanto sorprendente, dell’annata e sull’apparente paradosso tra la freschezza riscontrata nei vini opposta al calore/secchezza della stagione climatica. In ogni angolo del bordolese è replicato con convinzione e coerenza il ritornello della profondità dei terreni e della loro capacità, accentuata dall’età dei vigneti, di trattenere l’umidità e anche Ausone non fa eccezione, aggiungendo però che la differenza tra i suoli argillo-calcarei del “plateau” di Saint-Emilion e le parti più sabbiose del territorio è evidente come non mai. Alain Vauthier sottolinea, sorridendo con fare sornione, che ci siamo forse dimenticati che la vite è una pianta che nasce in zone calde e secche, l’uomo l’ha portata in aree più fresche alle quali si è gradualmente adattata ma l’andamento climatico sempre più bollente degli ultimi anni in fondo è in linea con la sua natura e le sue origini genetiche; la reazione dei vigneti all’infuocata estate 2022 non deve quindi sorprenderci più di tanto: nei luoghi giusti continuerà a dare vita a grandi vini..

Le note di degustazione, riservate agli abbonati, sono consultabili qui.

BORDEAUX PRIMEURS 2022. Degustazione UGCB: Pomerol e Saint-Emilion

Cambiano le zone, in questo caso cambia l’intero fronte visto che dalla riva sinistra ci spostiamo sulla destra, nell’area dove il vitigno principale non è più il Cabernet Sauvignon ma il Merlot, spesso accompagnato dal Cabernet Franc. I caratteri di calore e secchezza del millesimo dovrebbero, sul piano delle elucubrazioni puramente teoriche, aver prodotto disastri vista la tendenza del Merlot a maturare precocemente, ad accumulare zuccheri – quindi alcol –  a calare in acidità, ad assorbire con facilità aromi surmaturi. Invece, al contrario, succede quel che non ti aspetti – la freschezza e l’equilibrio prevalgono – e pensi anche di aver elucubrato male, di essere arrivato a conclusioni frettolose, fantasiose e via dicendo. La 2022 sta solo a dimostrare che siamo troppo attenti a tenere di conto degli effetti superficiali e non di quelli meno apparenti, ci accorgiamo quindi di ciò che ci tocca anche personalmente e si controllano le temperature medie, i giorni senza pioggia e si perde di vista – ma è normale perché non lo vediamo – quel che succede all’interno dei terreni, alla composizioni di suolo e sottosuolo, alla loro profondità e alla loro reazione – drenante o meno – con l’acqua, all’età dei vigneti, all’azione dei portainnesti e via dicendo. Un’annata che, al di là di facili slogan, rivaluta il ruolo del territorio: il rapporto tra calore esterno e freschezza interna, in estrema sintesi,  è la chiave di volta e rende comprensibile e giustificabile la risposta sorprendente ricevuta dai Merlot di questo millesimo negli assaggi effettuati all’Hangar 14. Alle visite specifiche, e debbo aggiungere anche entusiasmanti, effettuate, in precedenza, in altri Château del territorio (Angelus, Ausone, Figeac, Lafleur) dedicherò nei prossimi articoli adeguati approfondimenti.

Gli abbonati possono consultare qui le note di degustazione.

Château Figeac, la solita questione di stile.

Le origini di Figeac sembrano essere antichissime e c’è chi ama collegarle, come nel caso di Château Ausone, a un personaggio di epoca romana, con la differenza che mentre Ausonius è effettivamente esistito, del fantomatico Figeacus (sic) non esiste alcuna traccia e testimonianza. Ciò che è certa è la presenza di alcune parti dell’attuale Château che pare siano da far risalire intorno all’anno mille. Un vero castello medioevale che fu quasi del tutto distrutto durante il periodo delle guerre di religione francesi (fine ‘500).
Come in molte proprietà bordolesi (e in misura anche maggiore) i passaggi di proprietà sono stati innumerevoli e l’aspetto più significativo è costituito dal fatto che le vaste dimensioni dello Château sono state gradualmente frazionate e da una di queste parti è nato il prestigioso Château Cheval Blanc che, almeno da un punto di vista storico, può essere visto come un “figlio” di Figeac. Uno dei tanti, per la verità.

La storia attuale è legata invece agli eventi successivi alla seconda guerra mondiale quando la gestione della tenuta passò a Thierry Manoncourt che ebbe il merito di dare nuovo impulso a Figeac, rinnovando cantina e vigneti e consolidando nel vino quello stile originale che lo aveva reso famoso. Uno stile che personalmente ho sempre ammirato ma che non è mai stato troppo apprezzato dalla critica dominante d’oltreoceano. Nel 1988 Manoncourt ha passato la direzione dell’azienda al genero, il Conte Éric d’Aramon, fino a che nel 2012 la delusione per non aver raggiunto la promozione alla classe A della denominazione ha indotto la proprietà, ovvero le quattro figlie di Manoncourt, a cambiare totalmente registro sostituendo Éric d’Aramon con Frédéric Faye e prendendo come consulente esterno niente meno che Michel Rolland. Una notizia quest’ultima che ha creato qualche apprensione, rivelatasi per ora ingiustificata, ai fedelissimi del classico stile di Figeac.
Ed eccoci al punto: in cosa consiste e da cosa nasce lo “stile Figeac”?

È una pura e semplice questione di territorio. I vigneti di St Emilion sono divisi in quattro terroir principali. Il primo è costituito prevalentemente dalla sabbia e ci sono due regioni principali: 1.200 ettari nelle colline a est della città di St Emilion e altri 2.000 declinando verso le rive della Dordogna. Nessuna delle due regioni ospita le tenute più prestigiose dato che queste sono concentrate nella zona delle colline calcaree intorno alla città di St Emilion (Ausone tanto per citarne uno). Infine all’estremo ovest, confinante con Pomerol, si trova il Graves-St-Emilion ovvero i banchi di ghiaie, dove sono collocati Cheval-Blanc e Figeac. La presenza di ghiaia differenzia la zona dal calcare di St. Emilion e dall’argilla di Pomerol e dà origine a un territorio con caratteri così diversi da prevedere la presenza nei vigneti di un bel 35% di Cabernet Sauvignon che si somma ad altrettanto Cabernet Franc, lasciando solo il 30% al Merlot e creando una vera e propria isola dai connotati organolettici non così distanti da un cru del Médoc.

Una diversità che si esprimeva solitamente con toni più freschi e sapidi, certe volte anche più verdi, rispetto alla maggioranza dei vini della denominazione così caldi, cremosi e voluttuosi ma anche estrattivi e certamente meno classici ed eleganti del buon, vecchio Figeac. E, come ho già accennato, è inutile sottolineare quale delle due interpretazioni ha raccolto i favori della critica del nuovo mondo e non solo quella.

Certo è anche vero che sotto il profilo squisitamente tecnico Château Figeac non è sempre stato del tutto irreprensibile ma oggi certi limiti sono stati ampiamenti superati e l’annata 2021 sembra nata apposta per esaltarne la vecchia finezza associandola a una ritrovata integrità di frutto per un insieme semplicemente delizioso.

Le note di assaggio di Château Figeac sono consultabili, unitamente a quelle degli altri vini di St. Emilion, in area abbonati.

© 2016 ErGentili - build proudly by Stuwebmakers and Wordpress
contact: info@ernestogentili.
Privacy Policy