I Barolo di Pio Cesare

Il piacevole incontro – avvenuto circa tre mesi fa al ristorante Borgo San Jacopo, a Firenze – con le nuove annate dei vini di Pio Cesare è stato presentato, con competenza e simpatia, da Federica Boffa, figlia del compianto Pio.
Non mi perdo in dettagli e, dopo aver apprezzato Barbera, Dolcetto e uno Chardonnay Piodilei più convincente che mai, vado al sodo, partendo dal chiaro ricordo di molte versioni dei Barolo anni novanta e duemila dell’azienda albese, quando il rovere segnalava la sua presenza in modo sin troppo incisivo; con una certa personale soddisfazione ho invece verificato nei Barolo assaggiati il riappropriarsi di una misura, di un senso dell’equilibrio, di un tono di eleganza per non dire di classe, che davo ormai per smarriti. Non è stata necessaria una rivoluzione, ma solo l’adozione di alcuni piccoli accorgimenti, come dichiara Federica Boffa: “macerazioni anche lunghe, quando è il caso, ma meno aggressive e abbandono dei legni piccoli per l’affinamento”. Semplice no? Poche mosse eppure sufficienti a togliere quella patina ovattata di vaniglia e lacca del rovere che copriva e confondeva un carattere che, in realtà, non è mai mancato, come ha evidenziato con nitidezza l’assaggio del Barolo Riserva 2000, ancora giovane e ancora leggermente (e colpevolmente..) boisé ma dotato di un’energia trascinante e contagiosa. Un’energia che il Barolo Pio  e i cru Ornato (eccellente) e Mosconi (novità recentissima) hanno assorbito da subito, incanalandola con precisione nei binari di uno stile rigoroso ma non solenne, espresso in souplesse superando con disinvoltura i fastidiosi intralci dell’annata 2017.

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