Il protocollo (enologico) non è più di moda?

Il calendario-assaggi delle nuove annate sta prendendo forma e a breve pubblicherò i primi resoconti dei vini che mi sono stati presentati. Più che dallo stilare classifiche sono però coinvolto dal ricevere indicazioni sulle interpretazioni delle annate e sulle tendenze stilistiche in atto.
La crescita di età dei vigneti e le imprevedibili evoluzioni climatiche avrebbero dovuto imporre anche al più scettico dei vignaioli e dei vinificatori un ripensamento sui metodi e sulle tecniche adottate sia in vigna che in cantina ma tutto sommato, anche se solitamente sono le reazioni del mercato a dare la prima spinta ai cambiamenti, vedo affiorare il dubbio e noto atteggiamenti assai più consapevoli rispetto al passato, quando si producevano vini iperconcentrati o superboisé solo e unicamente perché “andava di moda” e i punteggi di buona parte dei critici salivano vertiginosamente.
Credo che stiamo vivendo una fase di evoluzione che passa attraverso posizioni anche illogicamente contrapposte, dai vini troppo concentrati ci siamo spostati alla celebrazione di quelli eccessivamente diluiti, dai blend internazionali all’autoctono ad ogni costo, dalla scelta micrometrica del tipo di rovere – dimensioni, tostatura, provenienza, stagionatura.. – al ritorno del cemento in cantina, dai vini tutti uguali dell’enologo a quelli che “se non puzzano non sono naturali” e quindi…
Potrei continuare ancora per un po’ tra contrasti e paradossi ma credo sia sufficiente.

In questo contesto osservo con una certa attenzione ciò che propongono, visto che ne accennavo,  proprio alcuni enologi nelle doppie vesti di produttori e consulenti tecnici di sé medesimi. Alcuni mesi fa – ne scrivo con ritardo lo so, ma è il momento migliore per parlarne – ho assaggiato con Emiliano Falsini alcuni dei vini di sua diretta espressione ovvero prodotti in due sue piccolissime aziende dislocate in zone pregiate ma non proprio adiacenti: Bolgheri (Il Debbio) e l’Etna (Feudo Pignatone). Se qualcuno non conoscesse Emiliano basta che clicchi sul suo nome sopra indicato per saperne qualcosa di più preciso; per i più pigri mi limiterò a dire soltanto che è un enologo affermato e che, come altri suoi colleghi, sta provando a fare il vino per sé stesso.
La storia non è nuova, se vogliamo può far discutere, ma in sostanza cosa c’è di interessante in tutto questo?
Bene, non la tiro per le lunghe e non scendo sul piano delle lusinghe e degli elogi sperticati; chi mi legge dovrebbe ormai sapere che non sono il mio forte. Ma ho trovato decisamente stuzzicante e degno di attenzione il passaggio stilistico aperto e abbracciato senza incertezze dal buon Falsini che, con lievi e ragionevoli differenze tra Etna e Bolgheri, ha puntato sul monovitigno (nerello mascalese e cabernet franc), sull’uso di contenitori alternativi alla barrique come il cocciopesto, su macerazioni calibrate attraverso follature leggere e scarso per non dire nullo uso dei rimontaggi, oltre che a indirizzarsi su fermentazioni che, almeno in parte, avvengono a grappolo intero. Dato che non sono un tecnico non posso certamente stabilire se queste siano le mosse giuste, ma al primo impatto ho notato che da esse derivano vini che vedono il frutto – fresco, succoso, fragrante – al centro delle attenzioni, i profumi sono integri e non mortificati da ingerenze (vedi legno) esterne, i tannini corredano solo i vini più ambiziosi – Etna Rosso Davanti Casa per Feudo Pignatone e Limite per Il Debbio – di un’adeguata rete di complessità senza soffocarne la bevibilità.

Il dettaglio e le considerazioni più approfondite sui vari assaggi le esprimerò quando avrò occasione di riprovare i vini in un contesto di comparazione attendibile, ma al momento apprezzo e segnalo la voglia di cambiare, confrontarsi, sperimentare e uscire dal ghetto della routine dei rigidi protocolli enologici.

SELEZIONE VINI 2021: COTTANERA

Sin dalle prime uscite Cottanera si è fatta conoscere per vini tecnicamente precisi, morbidi e bilanciati come L’Ardenza (Mondeuse), il Sole di Sesta (Syrah), il Grammonte (Merlot) e il Nume (Cabernet Sauvignon e Franc), relegando a un ruolo solo marginale il Nerello Mascalese. Una configurazione internazionale che nel corso del tempo è stata progressivamente abbandonata per dare spazio, con la crescita dei vigneti e la conoscenza più approfondita del territorio, alle varietà locali, adottando nel contempo una politica di valorizzazione dei cru che ha sostanzialmente ribaltato l’iniziale assetto produttivo della cantina di Castiglione di Sicilia.
E coerentemente anche gli ultimi assaggi effettuati confermano il ruolo da protagonista assunto dai vini di autentica matrice etnea, con l’Etna Riserva Zottorinoto 2017 e il Feudo di Mezzo 2018 in bella evidenza.

Seguono, per gli abbonati, le note di degustazione.

ASSAGGI (MOLTO) SPARSI N. 21

Trovare un punto in comune o di raccordo in questo ennesimo gruppo è un esercizio vano e inutile; ma in fondo, perché mai i vini recensiti e raccolti insieme dovrebbero averlo?
Passando dal Vin Santo di Poggiotondo ai Montefalco dei Fratelli Pardi, dagli Etna di Settesoli-Mandrarossa agli uvaggi internazionali di Varramista, per finire con i Rosso Piceno di Velenosi, questa lista si distingue dalle altre soprattutto per essere la più disordinata.
Tuttavia, scavando nel mucchio, i motivi di interesse non mancano e vale la pena di scrutarla con la giusta attenzione.

Seguono, per gli abbonati, le note di degustazione.

BEN RYÉ E ALTRI VINI DI DONNAFUGATA

 

Ho assaggiato solo quattro dei numerosi vini prodotti da Donnafugata e debbo dire che sono stati più che rappresentativi della vitalità dell’azienda siciliana. E se non cambia il profilo del solito, eccellente, Ben Ryé (Moscato Passito di Pantelleria per quei pochi che non lo sapessero), sono piuttosto interessanti i segnali di caratterizzazione e, insieme, di bevibilità percepiti negli altri vini provati, dall’Etna Rosato Sul Vulcano, già recensito qui e qui, al Cerasuolo Floramundi, per finire con il piacevole bianco Vigna di Gabri.

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