12 GIUGNO 2024, A MONTEFALCO

Un tempo erano definiti come “seminari” o, più semplicemente “degustazioni guidate”; oggi sono presentate con il pomposo titolo di “Master Class” e personalmente, per vari motivi, tendo a evitarle. Tuttavia, ogni tanto un’eccezione si può fare e, trovandomi a Montefalco in occasione dell’annuale presentazione delle nuove annate, ho partecipato alla “Class” diretta, con indubbia abilità, da Cristina Mercuri: dieci vini in programma, in assaggio coperto svelato di volta in volta. Temevo di assistere alla consueta litania di (falsi) elogi e arrampicate sugli specchi assortite che vengono sciorinate in questi frangenti, in questo caso in nome del Sagrantino di Montefalco, ma non è stato così. Sono stati serviti cinque Sagrantino e cinque vini di zone e varietà che poco hanno a che fare con l’iconico vitigno umbro. Li citerò seguendo l’ordine di servizio:
1 Scacciadiavoli Montefalco Sagrantino DOCG 2019 SCACCIADIAVOLI
2 Bocale Montefalco Sagrantino DOCG 2019 BOCALE
3 Chateau d’Ampuis Côte Rotie 2018 GUIGAL
4 Passopisciaro Sicilia Rosso IGT 2021 FRANCHETTI
5 Antonelli Montefalco Sagrantino DOCG 2018 ANTONELLI
6 Messorio Toscana Rosso IGT 2019 LE MACCHIOLE
7 Chȃteau Montrose Saint Estephe 2021 MONTROSE
8 Carapace Montefalco Sagrantino DOCG 2016 CASTELBUONO-LUNELLI
9 Petite Sirah Lytton Estate Dry Creek Valley 2019 RIDGE
10 Memoira Montefalco Sagrantino DOCG 2015 COLPETRONE

Come è possibile notare si passa dalla Syrah al Nerello Mascalese, dal Merlot all’uvaggio bordolese, dalla California al Rodano, dalla Toscana alla Sicilia con in mezzo i Sagrantino. Zone di produzione, altitudini, latitudini, vitigni e anche prezzi diversi, visto che siamo passati dai 30/40 euro di alcuni vini locali ai 250/300 di vini come Messorio o Montrose. Debbo ammettere che tutto sommato è stata una degustazione divertente anche se, visto il ruolo da comprimario svolto in buona sostanza dai Sagrantino, non ne ho colto sinceramente il senso complessivo.
Ma forse sono io a non essere abituato alle Master Class.

I dettagli e le note di assaggio sono consultabili quiin area abbonati.

BORDEAUX PRIMEURS 2022: Saint-Estephe

Probabilmente è la denominazione che ha beneficiato maggiormente degli eccessi di calore del millesimo, non tanto per la sua posizione più “nordica” rispetto alle altre ma soprattutto per la freschezza dei terreni dove la componente argillosa è mediamente più marcata della media del Médoc. Purtroppo mancano all’appello alcuni vini sia perché gli incastri degli appuntamenti non sempre combaciano perfettamente sia perché alcuni erano assenti dagli assaggi organizzati dall’UGCB.
Tuttavia le visite a Cos d’Estournel e Montrose (sulle quali mi soffermerò prossimamente) hanno offerto eccellenti motivi per essere soddisfatti e avere un quadro attendibile della vendemmia a Saint-Estephe.

Le note di degustazione sono consultabili qui in zona abbonati.

BORDEAUX PRIMEURS 2022: Pauillac, Saint-Julien, Saint-Estephe.

Le considerazioni sinora accennate valgono ovviamente, con qualche distinguo, anche per la riva sinistra dove il vitigno dominante, il Cabernet Sauvignon, lascia generalmente spazio al Merlot solo nei “secondi” e “terzi” vini. La qualità del millesimo, più che sui singoli vitigni, si è giocata , come già accennato nei precedenti articoli, sull’età delle piante e sulla profondità dei terreni che hanno mantenuto una freschezza sufficiente. Non è un caso che i vini delle proprietà che costeggiano la Gironda, da St. Julien Beychevelle in su, siano generalmente risultati tra i più riusciti dell’intera regione con Léoville Las Cases e Latour da vertici assoluti, per non dire di Pichon Comtesse de Lalande (ma è eccellente anche il “Baron”), Haut-Bages Libéral e Montrose che si sono esibiti tra le loro migliori espressioni di sempre. Alti livelli anche per Ducru-Beaucaillou, Léoville Barton e Poyferré, senza certamente dimenticare un Cos d’Estournel di straordinaria finezza e un Mouton imperioso.

Gli abbonati potranno per il momento consultare qui il Report dedicato ai Pauillac.

BORDEAUX PRIMEURS 2021, Cos d’Estournel e Saint-Estephe

Annata di rilievo per i vini di Saint-Estephe. La freschezza innata dei terreni è stata esaltata dall’annata che, seppur difficile da gestire, ha finito con consegnare una serie di vini raramente così espressivi in questa fase. Come è capitato in altre denominazioni, le gerarchie qualitative consolidate sono state rispettate senza sorprese e quindi Cos d’Estournel e Montrose hanno prevedibilmente primeggiato anche se non ho potuto assaggiare un altro cru di rilievo come Calon-Ségur. Tuttavia anche gli altri cru hanno ben figurato, con un sorprendente Château de Pez in evidenza grazie a uno sviluppo arioso, scandito dalla sapidità e dalla tensione gustativa più che dall’accumulo di frutto e tannini.
Sarebbe facile concludere che l’antica classificazione del 1855 e il valore del terroir in senso generale continuano ad avere un peso rilevante ma è un’affermazione un po’ superficiale, condivisibile se in questi concetti comprendessimo il fattore umano. Cerco di spiegarmi meglio. In più di un’occasione lo stile adottato da Cos d’Estournel a partire dalla fine degli anni ’90 fino a pochi anni fa, sotto la direzione di Jean-Guillaume Prats, mi ha lasciato piuttosto perplesso. Abbandonato il profilo classico che lo aveva caratterizzato da sempre, il vino aveva assunto una veste super concentrata, rappresentata da un colore nero pece, da profumi di confetture, cioccolato, frutti neri al limite del surmaturo e una struttura ricca, potente, spesso vicina ai 15 gradi alcolici, assistita da quote ingenti di tannini e rovere. Uno stile che personalmente non apprezzo molto e in alcune annate ho trovato quasi caricaturale, sicuramente poco in linea con il carattere dei Saint-Estephe, ma che al momento è stato osannato da molti critici e il mercato ha premiato con una consistente crescita dei prezzi.
Dubito tuttavia che per i vini classici, di lunga tradizione, possa risultare vincente una politica produttiva volta a rincorrere le mode del momento e, in ogni caso, se dovessi giudicare solo dal 2021, non posso che dire che il cambiamento riscontrato è stato rivoluzionario. Cos sembra aver trovato l’antica finezza con l’aggiunta di un frutto incredibilmente puro e succoso su una struttura robusta ma non vistosa, rovere e tannini perfettamente fusi e un grado alcolico al di sotto dei 13 gradi.


Merito dell’annata? In parte sicuramente si. Merito del terroir? In parte sicuramente si. Anzi, assolutamente si, se nel terroir comprendiamo il fattore umano. Nel 2013 Prats ha lasciato Cos per andare in California e il proprietario, Michel Reybier, che sino a quel momento si era tenuto in disparte, ha prima deciso di sostituirlo con Aymeric de Gironde per assumere poi, dopo pochi anni, direttamente la gestione incaricando, sotto il profilo tecnico, un eccellente professionista come Dominique Arangoïts.


“2021, humilté et precision” recita il titolo dell’elegante brochure consegnatami durante la visita allo Château. Ma cambiano gli uomini e quasi per incanto cambia il vino. D’accordo, alla base c’è un territorio di eccezione, ma lo stile lo decidono le persone, non le percentuali di ghiaia o di merlot.

Seguono, per gli abbonati, le note di degustazione dei vini di St. Estephe.

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