Vini di tacco e vini di punta

In questo periodo sono piuttosto impegnato ad assaggiare le nuove annate* e ho avuto modo di notare il modo diverso da parte di ogni azienda di interpretare il rapporto tra i vini più semplici e quelli più ambiziosi.

Lasciando perdere le situazioni virtuose (in verità largamente prevalenti) e ponendo l’attenzione su quelle più criticabili – se non critico che ci sto a fare – potrei dire sommariamente che esistono alcune situazioni contrapposte che tenterò di illustrare proponendo tre diversi profili di produttore.

Il primo è figlio dell’attualità, attento alle mode e ai cambiamenti, frequentatore assiduo dei social, fino a pochi anni fa produceva solo due o tre etichette ma ha cominciato ad ampliare la sua gamma puntando sulla Riserva della Riserva, poi sulla Selezione, quindi sulla Super Selezione per approdare infine sull’ultima frontiera dell’espansione produttiva ovvero l’individuazione di tre – per ora, ma sono destinati ad aumentare – cru dalle caratteristiche uniche e irripetibili (almeno così dice). A fare le spese di questa generosa proliferazione di vini è proprio il più semplice, quasi dimenticato, che deve accontentarsi degli avanzi di vigna e si presenta in una veste talmente leggera da rasentare l’inconsistenza; insomma, non sa di niente e il tentativo di rivendicarne la bevibilità è maldestro ed è sufficiente una buona birra, altrettanto bevibile, meno alcolica e più saporita, a metterlo in crisi su questo piano.

Il secondo profilo è invece rappresentato da chi segue la logica fuorviante e tuttora fortemente radicata di ritenere che l’importanza di ogni vino è proporzionale all’esibizione della propria ricchezza strutturale. L’identikit è di chi al ristorante apprezza soprattutto la quantità e la confonde con la qualità, vuole i piatti stracolmi e il suo vino più ambizioso è in effetti assai potente e intenso ma anche surmaturo, alcolico, sovraestratto e roverizzato all’eccesso; un po’ come se per vestirsi bene ci mettessimo addosso tre camicie e due paia di pantaloni: nessuna eleganza e tanta goffaggine. Il paradosso è che in questo caso il vino di base, prodotto senza le forzature di cui sopra, è sorprendentemente piacevole ed equilibrato.
Ma lui non lo sa; nel senso che non se ne è proprio reso conto.

Il terzo caso è infine costituito da chi prepara il vino di base con le stesse modalità di vinificazione di quello di vertice utilizzando però uve di qualità inferiore. Il risultato è prevedibilmente costituito da impiastri imbevibili. Il profilo è del tipo fedele alla linea ed è quel genere di produttore che non cambia mai metodi e il vino lo fa sempre così in barba alla diversità delle annate, delle tipologie e (magari) delle mode: “io i miei vini li tratto tutti allo stesso modo, non faccio discriminazioni perché così faceva mio nonno, così faccio io e così farà mio figlio”.
Al quale toccherà poi berselo tutto.

 

* ricordo a tal proposito agli abbonati gli ultimi tre Report pubblicati: https://www.ernestogentili.it/prodotto/vermentino-e-vermentino-report-wr/
https://www.ernestogentili.it/prodotto/selezione-2022-rosso-di-montepulciano-report-wr/
https://www.ernestogentili.it/prodotto/selezione-2022-rosati-toscani-report-wr/

 

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