È un periodo che mi va di iniziare gli articoli con un quesito: è più facile e frequente trovare spunti di rilievo nei vini rossi di San Gimignano o nei vini bianchi di Bolgheri? In questo caso il quesito ha ben poco di amletico, non rivelo subito la risposta, ma non è difficile immaginarla continuando a leggere.
Suggerirei infatti, a chi avesse voglia di dare un’occhiataquial corposo Report sui Toscana Rossi IGT, di notare la presenza ben più che incisiva dei vini della Cantina sangiminianese La Lastra: Cabernet Franc, Canaiolo, Merlot e Rovaio (blend tosco-bordolese) sono le etichette rappresentate con riscontri decisamente degni di attenzione. Quest’anno ho accordato una preferenza alla versione 2020 del Cabernet Franc, un vino che, oltre alla millimetrica precisione presente in tutti i vini aziendali, si propone con una convincente armonia, corredata da tratti di pura eleganza rari da riscontrare nei vini a base del vitigno bordolese, come ho già avuto modo di sottolinearequi, nell’articolo di qualche giorno fa.
Negli anni novanta e a cavallo dei duemila, il Merlot ha conquistato sempre più spazio nei vigneti europei e anche del nuovo mondo. Dalle nostre parti, sulla spinta dei successi di mercato di alcune etichette, la tendenza a piantarlo, forse senza neanche verificare se davvero clima e terreni fossero proprio congeniali al vitigno bordolese, ha assunto ritmi frenetici. Le variazioni climatiche in atto in questo secolo hanno dato, in più di un caso, il colpo di grazia e attualmente non si può che constatare che una parte non irrilevante di quei vigneti abbia fatto una brutta fine, essendo stati estirpati o sovrainnestati con altre uve, dimostrando che a suo tempo la scelta era stata superficiale e frettolosa.
Ora, dato che piantare un vigneto e poi spiantarlo non è semplice come cambiare un maglione o un paio di scarpe della misura sbagliata, ogni anno prendo nota con una certa diffidenza dell’esordio dell’ennesima etichetta di Cabernet Franc, rigorosamente in purezza perché, come ho già avuto modo di segnalare, il monovitigno va “forte”. Solo a Bolgheri, ma la tendenza è generalizzata, se ne contano – tra doc e igt – più di una ventina.
Pur sperando che la lezione del Merlot sia servita e che tali scelte siano state dettate da attente valutazioni sulle caratteristiche di suoli, sottosuoli e microclimi, temo che anche in questo caso la molla dell’imitazione di qualche successo di mercato abbia creato un ulteriore fenomeno modaiolo. Certamente si dirà che il Cabernet Franc non è il Merlot, che è molto più adatto ai nostri climi e terreni, da noi matura bene, non è altrettanto precoce e via dicendo. Tuttavia io continuo ad affidarmi ai responsi del “bicchiere” e i risultati che osservo non giustificano affatto tale proliferazione. Il che non significa che non ci siano C. F. buoni e anche ottimi. Ma sono una minoranza.
Allora, oltre alla prova del bicchiere, cerco di dare peso alle testimonianze “storiche” e a un briciolo di letteratura sull’argomento.
Le origini del Cabernet Franc si perdono nel tempo ma è opinione comune che il vitigno sia arrivato a Bordeaux e successivamente nella Loira dalla Spagna, anzi dai Paesi Baschi per essere precisi. Dall’incrocio del Franc con il Sauvignon Blanc sembra sia derivato il Cabernet Sauvignon, mentre dalla combinazione con la Magdeleine Noire des Charentes (vitigno scomparso o quasi) è nato il Merlot. Il Cabernet Franc è pertanto il progenitore dei principali vitigni bordolesi ma a Bordeaux – dove d’altro canto domina la cultura dell’assemblaggio – nessuno in concreto lo produce in purezza. Lo troviamo, ma in misura decisamente minoritaria, sulla riva sinistra, dove la prevalenza di ghiaia e sabbia è ben più congeniale al Cab. Sauvignon che predilige terreni caldi; ha un ruolo invece da protagonista sulla riva destra, soprattutto a Saint Emilion, grazie alla presenza di suoli calcarei (finezza e personalità) e anche argillosi (struttura e vigore) nei quali il Franc trova la freschezza ideale, come gli succede in quelle denominazioni della Loira (essenzialmente Saumur-Champigny e Chinon) che lo vedono protagonista assoluto e dove al calcare e all’argilla superficiale si aggiunge il tufo, che fa da spugna trattenendo le risorse idriche indispensabili per la corretta maturazione delle uve. In sintesi, visto che la stessa combinazione di terreni, magari scambiando il ruolo di argilla e calcare, è amata anche dai Merlot, si potrebbe forzare il concetto affermando che il Franc ha più aspetti in comune con il Merlot che con il Cabernet Sauvignon. E in effetti anche in tempo di vendemmia lo vediamo raccogliere poco dopo il Merlot ma sicuramente prima del Cab. Sauvignon. Non è proprio precoce ma neanche tardivo. Non teme quindi le stagioni calde (meglio se non torride) ma a patto che siano associate a terreni assolutamente freschi.
In conclusione, considerando che il clima della Loira, mitigato quanto si vuole dalla presenza del fiume (molto vicino ai vigneti peraltro), è un po’ diverso da Bolgheri e dalla Toscana in genere e che di tutto questo calcare poroso (a stella marina o astéries come dicono in Francia) in certe zone non ve ne è proprio traccia, sarei un po’ più cauto nel fare troppo affidamento sul Cabernet Franc. Soprattutto in purezza.
Ma moda e mercato sono una combinazione diabolica alla quale è evidentemente difficile resistere.
Non è facile far comprendere a tutti le ragioni che spingono i produttori bolgheresi, o almeno buona parte di loro, a continuare a proporre vini al di fuori di una denominazione – Bolgheri, ovviamente – che è piuttosto larga di maniche almeno nella scelta delle uve utilizzabili e ha un’alta reputazione (ovvero alti prezzi) in corredo. Voglio evitare però di entrare a piedi uniti sulle incongruenze e contraddizioni che hanno le nostre denominazioni (e Bolgheri ne ha probabilmente meno di altre), solo per questioni di tempi di lavoro, ma non rinuncerò a trattare la questione più avanti.
In ogni caso l’annata 2020 ha mostrato limiti e pregi anche nella versione Igt e forse anche in misura più evidente di quanto non è avvenuto con i Bolgheri Superiore. Non mancano certamente bottiglie di valore e proprio tra queste si confermano i punti di forza del millesimo che tende a mostrare i suoi aspetti migliori alla distanza e non nell’immediato.
Le note di degustazione sono disponibili qui, per gli abbonati.
Lo staff di Château Angelus, tanto competente quanto gentilissimo, ritiene che la 2022 sfugga a qualsiasi comparazione con altre annate, arrivando a definirla, senza incertezze e false modestie, “maestosa”. Dopo averla assaggiata è effettivamente difficile pensarla diversamente e non ci si può stupire quindi di doverla considerare come una delle star della riva destra (e non solo).
42 ettari di vigneto – divisi tra Merlot, Cabernet Franc e un pizzico di Cabernet Sauvignon – sulle côtes di Saint-Emilion costituiscono il patrimonio viticolo della Tenuta, proprietà dagli inizi del ‘900 della famiglia Boüard de Laforet.
Il vino ha sempre goduto di alta considerazione ma la svolta decisiva verso le vette della denominazione è stata registrata negli anni ’80, quando Hubert de Boüard de Laforet ha gradualmente rinnovato le attrezzature di cantina e imposto un deciso cambio di rotta della produzione. La storia recente ha visto lo Château impegnato in una spiacevole sequenza di cause giudiziarie relative alla revisione della classificazione dei crus di St. Emilion che ha avuto la conseguenza finale di portare Angelus a rinunciare – come Ausone e Cheval Blanc – ad essere classificato. Ma non si è certo rinunciato a incrementare la qualità dei vini, abbracciando anche progressivamente scelte produttive di ispirazione biologica. Contrariamente a quanto si pensa, ad Angelus si ritiene il Merlot più adatto al calcare puro, mentre le argille profonde ben si addicono al Cabernet Franc che, in ogni caso, è considerato il vitigno più importante e caratterizzante dello stile Angelus, anche se presente in misura inferiore al Merlot. In cantina prevale una filosofia che privilegia una vinificazione in riduzione con affinamenti calibrati in funzione del vitigno e delle caratteristiche dell’annata. Non è un caso infatti, che con la crescita delle temperature e il calo della piovosità, abbiano fatto la loro comparsa anche alcune botti da 20 e più ettolitri dove matura una parte di Cabernet Franc, con l’ovvio obiettivo di mitigare con contenitori di affinamento meno ossidativi il calore delle annate più recenti.
Una scelta decisamente condivisibile, ispirata al buon senso e non al marketing come purtroppo succede spesso dalle nostre parti.
Gli appunti di degustazione di ChâteauAngelus, del secondo vino Carillon d’angelus e del terzo nominato semplicemente N. 3, sono consultabili qui, in area abbonati.
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The Great Wines of Tuscany
The Great Wines of Tuscany – Giunti – 2017
L’immagine riproduce la copertina della versione inglese del mio libro I Grandi Vini di Toscana, uscito il 23 novembre 2016 nelle principali librerie italiane.
Il libro ripercorre, attraverso la descrizione di 69 vini selezionati e particolarmente rappresentativi, un periodo cruciale dell’evoluzione del vino toscano. Su ogni vino sono riportate le informazioni tecniche relative ai metodi di produzione, le note storiche, gli aneddoti, completando il tutto con una degustazione verticale di ogni vino scelto.
Dall’introduzione:
Da tempo meditavo di dare forma e sostanza alla raccolta di oltre venti anni di appunti, di visite, incontri, suggestioni e, soprattutto, degustazioni. Centinaia e centinaia di bottiglie aperte e provate, ma anche assaggi dalla botte, lo stesso vino degustato appena nato e poi testato più volte nel corso degli anni. Insomma. alla fine mi sono accorto di poter raccontare storie all’infinito. E avrei desiderato farlo con un editore toscano, perché un libro sui vini toscani prodotto “in casa” avrebbe avuto un significato tutto particolare. È fortunatamente capitata l’occasione di proporre l’idea a Giunti che ha manifestato immediatamente grande interesse e molta disponibilità per l’argomento. Ne abbiamo parlato, poi abbiamo rimandato l’inizio del progetto, perché un editore di cose da fare ne ha tante, e anch’io avevo le mie. Il progetto originale si è piano piano delineato con maggiore chiarezza a entrambi e alla fine abbiamo, come si dice, messo nero su bianco e l’avventura di questa pubblicazione è partita.
E qui devo premettere che un libro come questo non è un libro qualsiasi, dove si raccolgono le idee, si dà loro un ordine e si inizia a scrivere. Avrei anche potuto fare così, in fondo ho molti assaggi archiviati nel corso degli anni, bastava metterli insieme e il gioco era fatto. In realtà, avendo a che fare con una materia “viva” come il vino poteva essere sicuramente interessante proporre le impressioni che mi aveva fatto quella determinata etichetta dieci anni fa, ma sarebbe stata soltanto una somma di annate diverse, non una verticale vera e propria. Dopo tante degustazioni “orizzontali” (più vini della stessa tipologia e annata) che mostrano solo una faccia della luna, l’assaggio “verticale” permette di esplorare il carattere e il valore di un vino sotto una prospettiva del tutto diversa dal solito. E ne restituisce un’immagine più completa e profonda che va oltre il semplice piacere di una bottiglia…
Come ho scelto i vini? Chiaramente gran parte della selezione effettuata riflette semplicemente il mio gusto, è ovvio che molti dei vini presenti siano tra i miei preferiti sulla base degli assaggi effettuati in tanti anni di attività.
Nella scelta ho tenuto conto non solo delle mie preferenze personali, ma anche della rappresentatività delle varie zone e tipologie, e della presenza di originalità degne di nota. Ho completato l’elenco con vini che, anche se non proprio in cima ai miei desideri, hanno fatto parlare di sé in questi ultimi anni, raggiungendo un’alta reputazione sul piano nazionale e internazionale e che ho ritenuto interessante comprenderli in un’indagine qualitativa che poteva riservare (e riservarmi) qualche sorpresa.
Non ricordo quando ho assaggiato il mio primo vino, ma ricordo bene da quando questa passione si è trasformata in lavoro; e posso dire che ormai sono più di venti anni che, prima come collaboratore, poi come diretto responsabile, ho frequentato varie pubblicazioni specializzate del settore. Quanti vini sconosciuti e oggi apprezzati da tutti ho segnalato in questi anni? Ho perso il conto, ma confesso che ancora oggi continuo ad assaggiare con la stessa passione e voglia di ricerca di allora. Ed è questo che voglio fare, non faccio il filosofo, mi limito semplicemente a dire quanto e perché un vino mi piace. Ma lo faccio rivendicando un’autonomia e un’indipendenza di giudizio che oggi mi sembra merce assai rara. Per questo motivo credo ci sia lo spazio per proporre un sito imperniato seriamente e quasi esclusivamente sulle note di assaggio. Ernesto Gentili Per contattarmi: info@ernestogentili.it
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Dopo le prime collaborazioni con Slow Food Editore per le pubblicazioni Guida al Vino Quotidiano e Guida ai Vini del Mondo, ha iniziato nel 1994 a occuparsi della Guida Vini d’Italia di Gambero Rosso-Slow Food, assumendo dopo pochi anni il ruolo di responsabile della Toscana; e successivamente anche di curatore per due edizioni dell’Almanacco del Berebene. Dal marzo 2003 è passato al ruolo di curatore, insieme a Fabio Rizzari, della Guida I Vini d’Italia del gruppo editoriale L’Espresso, seguendo tutte le edizioni successivamente realizzate, dalla 2004 fino alla più recente 2016. È stato membro permanente del Grand Jury Européen, ha al suo attivo anche varie collaborazioni con testate straniere, come la Revue du Vin de France, Decanter e la giapponese Wine Kingdom, oltre che con altre pubblicazioni specializzate italiane. Nel novembre 2016 è uscito in libreria il suo libro I Grandi Vini di Toscana (The Great Wines of Tuscany nell’edizione inglese), edito da Giunti.
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PREMI E RICONOSCIMENTI – Premio Casato Cinelli Colombini 2001 per Miglior articolo su Montalcino (per Slow Food Editore). – Premio Grandi Cru d’Italia 2008 come “miglior giornalista del vino”. – Segnalato dalla rivista inglese Decanter (gennaio 2010) tra i 10 personaggi più influenti del vino italiano. – Premio Lamole 2012: cittadinanza onoraria di Lamole. – Premio Casato Cinelli Colombini 2013 per Miglior articolo su Montalcino (per L’espresso Editore).
Dopo aver maturato un adeguato bagaglio di esperienza lavorando per ristoranti e alberghi in Italia e Svizzera, Claudio Corrieri decide, nel 1994, di aprire Lo Scoglietto sul lungomare di Rosignano Solvay (LI).
Diplomato Sommelier nel 1996, coltiva la passione per il vino cercando di approfondire la sua voglia di conoscenza, attraverso letture, viaggi, frequentazione di corsi di aggiornamento e, soprattutto, stappando tante bottiglie.
Gestisce, nel frattempo, un altro locale, InVernice, che diventa nel giro di pochi anni il punto di riferimento per gli appassionati di vino dell’area livornese.
Nel 2010 inizia a collaborare con la prima edizione di Slowine e dall’anno successivo entra a far parte del team della Guida Vini dell’Espresso, curata da Ernesto Gentili e Fabio Rizzari, fino al cambio di direzione, avvenuto un paio di anni fa.
Nello stesso periodo inizia il suo rapporto con il web, scrivendo articoli su vini del Rodano e della Borgogna per il sito diretto dall’amico Fernando Pardini (www.acquabuona.it) e continuando, nell’attualità, a mantenere una stretta collaborazione con Ernesto Gentili su queste pagine.
Da pochi anni si occupa, insieme all’amico (nonché valente degustatore) Daniele Bartolozzi, di importazione diretta di Champagne attraverso un’accurata selezione di piccoli produttori (www.lebollicine.eu).