SELEZIONE VINI 2023: le “Stelle” dell’anno, episodio N. 5

È un periodo che mi va di iniziare gli articoli con un quesito: è più facile e frequente trovare spunti di rilievo nei vini rossi di San Gimignano o nei vini bianchi di Bolgheri? In questo caso il quesito ha ben poco di amletico, non rivelo subito la risposta, ma non è difficile immaginarla continuando a leggere.

Suggerirei infatti, a chi avesse voglia di dare un’occhiata qui al corposo Report sui Toscana Rossi IGT, di notare la presenza ben più che incisiva dei vini della Cantina sangiminianese La Lastra: Cabernet Franc, Canaiolo, Merlot e Rovaio (blend tosco-bordolese) sono le etichette rappresentate con riscontri decisamente degni di attenzione. Quest’anno ho accordato una preferenza alla versione 2020 del Cabernet Franc, un vino che, oltre alla millimetrica precisione presente in tutti i vini aziendali, si propone con una convincente armonia, corredata da tratti di pura eleganza rari da riscontrare nei vini a base del vitigno bordolese, come ho già avuto modo di sottolineare qui, nell’articolo di qualche giorno fa.

LE TENDENZE 2. Affrancateci dal Cabernet Franc.

Negli anni novanta e a cavallo dei duemila, il Merlot ha conquistato sempre più spazio nei vigneti europei e anche del nuovo mondo. Dalle nostre parti, sulla spinta dei successi di mercato di alcune etichette, la tendenza a piantarlo, forse senza neanche verificare se davvero clima e terreni fossero proprio congeniali al vitigno bordolese, ha assunto ritmi frenetici. Le variazioni climatiche in atto in questo secolo hanno dato, in più di un caso, il colpo di grazia e attualmente non si può che constatare che una parte non irrilevante di quei vigneti abbia fatto una brutta fine, essendo stati estirpati o sovrainnestati con altre uve, dimostrando che a suo tempo la scelta era stata superficiale e frettolosa.

Ora, dato che piantare un vigneto e poi spiantarlo non è semplice come cambiare un maglione o un paio di scarpe della misura sbagliata, ogni anno prendo nota con una certa diffidenza dell’esordio dell’ennesima etichetta di Cabernet Franc, rigorosamente in purezza perché, come ho già avuto modo di segnalare, il monovitigno va “forte”. Solo a Bolgheri, ma la tendenza è generalizzata, se ne contano – tra doc e igt – più di una ventina.

Pur sperando che la lezione del Merlot sia servita e che tali scelte siano state dettate da attente valutazioni sulle caratteristiche di suoli, sottosuoli e microclimi, temo che anche in questo caso la molla dell’imitazione di qualche successo di mercato abbia creato un ulteriore fenomeno modaiolo. Certamente si dirà che il Cabernet Franc non è il Merlot, che è molto più adatto ai nostri climi e terreni, da noi matura bene, non è altrettanto precoce e via dicendo.
Tuttavia io continuo ad affidarmi ai responsi del “bicchiere” e i risultati che osservo non giustificano affatto tale proliferazione. Il che non significa che non ci siano C. F. buoni e anche ottimi. Ma sono una minoranza.

Allora, oltre alla prova del bicchiere, cerco di dare peso alle testimonianze “storiche” e a un briciolo di letteratura sull’argomento.
Le origini del Cabernet Franc si perdono nel tempo ma è opinione comune che il vitigno sia arrivato a Bordeaux e successivamente nella Loira dalla Spagna, anzi dai Paesi Baschi per essere precisi. Dall’incrocio del Franc con il Sauvignon Blanc sembra sia derivato il Cabernet Sauvignon, mentre dalla combinazione con la Magdeleine Noire des Charentes (vitigno scomparso o quasi) è nato il Merlot. Il Cabernet Franc è pertanto il progenitore dei principali vitigni bordolesi ma a Bordeaux – dove d’altro canto domina la cultura dell’assemblaggio – nessuno in concreto lo produce in purezza. Lo troviamo, ma in misura decisamente minoritaria, sulla riva sinistra, dove la prevalenza di ghiaia e sabbia è ben più congeniale al Cab. Sauvignon che predilige terreni caldi; ha un ruolo invece da protagonista sulla riva destra, soprattutto a Saint Emilion, grazie alla presenza di suoli calcarei (finezza e personalità) e anche argillosi (struttura e vigore) nei quali il Franc trova la freschezza ideale, come gli succede in quelle denominazioni della Loira (essenzialmente Saumur-Champigny e Chinon) che lo vedono protagonista assoluto e dove al calcare e all’argilla superficiale si aggiunge il tufo, che fa da spugna trattenendo le risorse idriche indispensabili per la corretta maturazione delle uve. In sintesi, visto che la stessa combinazione di terreni, magari scambiando il ruolo di argilla e calcare, è amata anche dai Merlot, si potrebbe forzare il concetto affermando che il Franc ha più aspetti in comune con il Merlot che con il Cabernet Sauvignon. E in effetti anche in tempo di vendemmia lo vediamo raccogliere poco dopo il Merlot ma sicuramente prima del Cab. Sauvignon. Non è proprio precoce ma neanche tardivo. Non teme quindi le stagioni calde (meglio se non torride) ma a patto che siano associate a terreni assolutamente freschi.
In conclusione, considerando che il clima della Loira, mitigato quanto si vuole dalla presenza del fiume (molto vicino ai vigneti peraltro), è un po’ diverso da Bolgheri e dalla Toscana in genere e che di tutto questo calcare poroso (a stella marina o astéries come dicono in Francia) in certe zone non ve ne è proprio traccia, sarei un po’ più cauto nel fare troppo affidamento sul Cabernet Franc. Soprattutto in purezza.
Ma moda e mercato sono una combinazione diabolica alla quale è evidentemente difficile resistere.

SELEZIONE VINI 2023: COSTA TOSCANA IGT

Non è facile far comprendere a tutti le ragioni che spingono i produttori bolgheresi, o almeno buona parte di loro, a continuare a proporre vini al di fuori di una denominazione – Bolgheri, ovviamente – che è piuttosto larga di maniche almeno nella scelta delle uve utilizzabili e ha un’alta reputazione (ovvero alti prezzi) in corredo. Voglio evitare però di entrare a piedi uniti sulle incongruenze e contraddizioni che hanno le nostre denominazioni (e Bolgheri ne ha probabilmente meno di altre), solo per questioni di tempi di lavoro, ma non rinuncerò a trattare la questione più avanti.
In ogni caso l’annata 2020 ha mostrato limiti e pregi anche nella versione Igt e forse anche in misura più evidente di quanto non è avvenuto con i Bolgheri Superiore. Non mancano certamente bottiglie di valore e proprio tra queste si confermano i punti di forza del millesimo che tende a mostrare i suoi aspetti migliori alla distanza e non nell’immediato.

Le note di degustazione sono disponibili qui, per gli abbonati.

BORDEAUX PRIMEURS 2022: CHÂTEAU ANGELUS

Lo staff di Château Angelus, tanto competente quanto gentilissimo, ritiene che la 2022 sfugga a qualsiasi comparazione con altre annate, arrivando a definirla, senza incertezze e false modestie, “maestosa”. Dopo averla assaggiata è effettivamente difficile pensarla diversamente e non ci si può stupire quindi di doverla considerare come una delle star della riva destra (e non solo).
42 ettari di vigneto – divisi tra Merlot, Cabernet Franc e un pizzico di Cabernet Sauvignon – sulle côtes di Saint-Emilion costituiscono il patrimonio viticolo della Tenuta, proprietà dagli inizi del ‘900 della famiglia Boüard de Laforet.
Il vino ha sempre goduto di alta considerazione ma la svolta decisiva verso le vette della denominazione è stata registrata negli anni ’80, quando Hubert de Boüard de Laforet ha gradualmente rinnovato le attrezzature di cantina e imposto un deciso cambio di rotta della produzione. La storia recente ha visto lo Château impegnato in una spiacevole sequenza di cause giudiziarie relative alla revisione della classificazione dei crus di St. Emilion che ha avuto la conseguenza finale di portare Angelus a rinunciare – come Ausone e Cheval Blanc – ad essere classificato. Ma non si è certo rinunciato a incrementare la qualità dei vini, abbracciando anche progressivamente scelte produttive di ispirazione biologica. Contrariamente a quanto si pensa, ad Angelus si ritiene il Merlot più adatto al calcare puro, mentre le argille profonde ben si addicono al Cabernet Franc che, in ogni caso, è considerato il vitigno più importante e caratterizzante dello stile Angelus, anche se presente in misura inferiore al Merlot. In cantina prevale una filosofia che privilegia una vinificazione in riduzione con affinamenti calibrati in funzione del vitigno e delle caratteristiche dell’annata. Non è un caso infatti, che con la crescita delle temperature e il calo della piovosità, abbiano fatto la loro comparsa anche alcune botti da 20 e più ettolitri dove matura una parte di Cabernet Franc, con l’ovvio obiettivo di mitigare con contenitori di affinamento meno ossidativi il calore delle annate più recenti.
Una scelta decisamente condivisibile, ispirata al buon senso e non al marketing come purtroppo succede spesso dalle nostre parti.

Gli appunti di degustazione di ChâteauAngelus, del secondo vino Carillon d’angelus e del terzo nominato semplicemente N. 3, sono consultabili qui, in area abbonati.

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