Dall’assaggio di una tipologia più semplice talvolta si possono avere indicazioni su quella che sarà la riuscita futura dei vini più importanti della stessa area. Solo talvolta, ribadisco, perché voglio sperare che la qualità dei Brunello di Montalcino 2020 abbia scarse connessioni con quella esibita nei miei recenti assaggi dei Rosso di Montalcino.
42 i vini provati, con risultati quasi imbarazzanti per una tipologia che, apparentemente, è in cerca di rilancio e valorizzazione. Certamente può capitare un’annata poco riuscita anche se l’attribuzione di 5 stelle su 5 al Brunello 2020 non lo farebbe pensare, ma l’eccesso di alcol, la carenza di frutto e di freschezza, associate a tannini crudi e immaturi, sono caratteri rilevati diffusamente su buona parte dei campioni assaggiati, lasciando l’impressione che abbia prevalso la scelta di imbottigliare partite di vino che avrebbero meritato di essere scartate.
Nello stesso tempo, l’assaggio di una dozzina di Rossi 2019, altra annata universalmente considerata ottima, pur offrendo qualche etichetta degna di sicura attenzione, ha messo in mostra una serie di vini dai toni piuttosto evoluti e quindi non ha offerto motivi validi per addebitare la défaillance della tipologia solo ai limiti emersi con la 2020.
Nasce così il dubbio che a Montalcino, come purtroppo in altre zone di alta reputazione, si faccia più affidamento al vento favorevole che soffia sul mercato, mantenendoselo con qualche operazione di marketing di facciata, che non puntando in concreto a individuare e risolvere gli evidenti problemi di vigna e cantina.
BRUNELLO E ROSSO di BANFI
Con un’enorme estensione viticola (circa 900 ettari), Banfi non è soltanto la più grande azienda di Montalcino ma una tra le più imponenti dell’intera regione. Non sto qui a raccontarne la storia, documentata ampiamente anche online, ma semplicemente a riportare il resoconto degli assaggi di quest’anno che hanno riguardato Brunello 2015 e Rosso di Montalcino 2018 sia nella versione Castello Banfi che nella selezione Poggio alle Mura. I vini sono nel complesso ben fatti, equilibrati, non posseggono un carattere spiccatissimo ma non sono neanche così avulsi dal territorio e dall’impronta del sangiovese come si vorrebbe far credere. Non posso quindi affermare che i riscontri siano stati esaltanti ma largamente positivi si, con una nota di merito per i “due” Poggio alle Mura che non sempre ho preferito in passato e che stavolta ho trovato invece davvero ben realizzati.
SELEZIONE VINI 2020: ROSSO DI MONTALCINO
Come previsto, l’annata 2018 del Rosso di Montalcino ha proposto una serie di vini dal carattere semplice ma distinto da una piacevole vena di freschezza che ha assicurato equilibrio e un’adeguata bevibilità alla maggioranza dei campioni assaggiati. I Rossi dell’annata 2017, vista anche la ridotta quantità di campioni presenti, sono da considerare come rappresentativi dello stile adottato dalla prevalenza dei produttori presenti in assaggio più che dell’intera tipologia. Un Report dell’annata 2017 è comunque rintracciabile qui.
Sarebbe invece interessante dissertare sulle prospettive della tipologia che spesso evidenzia, almeno in certe zone della denominazione, una qualità notevole e, insieme, un potenziale sinora (volutamente) inesplorato. In pochi altri luoghi – o nessuno, forse – il sangiovese “giovane” esprime un frutto così ricco e succoso senza rinunciare alla freschezza come a Montalcino, ma questa peculiarità non è stata sinora adeguatamente valorizzata. È evidente che il successo planetario del Brunello, che si traduce in una marcata differenza di valore economico tra le due denominazioni, renda la discussione puramente accademica: l’ordine naturale delle cose suggerirebbe una predominanza, in termini quantitativi, della tipologia più semplice rispetto a quella più pregiata, ma immaginare qualcuno che produca Rosso in luogo del Brunello è pura fantascienza.
Rosso di Montalcino 2018 GORELLI
ROSSO DI MONTALCINO DOC 2018 GIUSEPPE GORELLI
Non mi sono per niente sorpreso quando ho tolto l’involucro che nascondeva quella bottiglia di Rosso di Montalcino 2018. Non potevo ovviamente esserne certo ma l’autore era intuibile e non perché quel Rosso replicasse profumi e sapori già sentiti in altri vini, che è una pratica da protocollo operativo applicato dovunque e comunque e subordina vitigni e territori alle tecniche enologiche. In tali casi è evidente che la riconoscibilità dell’autore non costituisce un motivo così “glorioso”.
È invece un altro paio di maniche quando dall’assaggio di un vino emerge quella particolare sensibilità, quella misura, quella capacità di interpretare la materia prima per dargli una forma precisa nel rispetto delle proporzioni e del carattere di un territorio. Una congiunzione quest’ultima, tra equilibrio e personalità, che è rara da realizzare e che trova pochi “artigiani” di cantina in grado di far esprimere compiutamente.
Giuseppe Gorelli è, indubbiamente, uno di questi e tanti dei suoi vini, tutti diversi tra loro nei profumi e nel sapore, hanno in comune il marchio distintivo della coordinazione e dell’eleganza di beva.
Come il Rosso di Montalcino prodotto dalla sua nuova, omonima, azienda.