IL FATTORE KAPPA

Chi parla o scrive di vino non può prendersi troppo sul serio: in fondo, buono o cattivo, sempre di un bicchier di vino si tratta; ma si può essere seri senza essere “seriosi”?
Penso proprio di si e le righe che seguono – forse – lo confermano.

Il simbolo K in chimica corrisponde al potassio ma non so quanto questo collegamento abbia inciso nell’assegnare il nome alla Fattoria Kappa diretta dall’enologo Andrea Di Maio. Avrei potuto chiederglielo direttamente ma è più opportuno che il mistero resti tale o, al limite, venisse risolto da chi lo avesse davvero a cuore. Da parte mia potrei solo arrivare alla conclusione che se Kappa è una fattoria, Di Maio è il suo fattore, ovvero il fattore Kappa. E qui torna in gioco il potassio: quale è l’incidenza del potassio sulla qualità dei vini realizzati?
Vedete bene che non se ne esce, anche perché sorge spontanea un’altra domanda: come si chiama il principale vino prodotto dalla Fattoria Kappa? Kappa. È evidente che mi sono cacciato, anzi sono inKappato, in un ginepraio. E, se non fosse buono, potrei almeno dare le colpe al vino.
Al contrario non ho alibi, in quanto il recente assaggio dell’annata 2016 (uvaggio di cabernet franc e sauvignon con aggiunte di syrah) mi ha messo di fronte a un rosso da prendere davvero sul serio: fruttato e speziato nei profumi, al riparo da eccessi e ancora più da carenze di maturità, è intenso, morbido, pieno, lungo nel finale.
Con la Qualità – con la Q maiuscola e non la K – non si scherza.

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