Non è facile far comprendere a tutti le ragioni che spingono i produttori bolgheresi, o almeno buona parte di loro, a continuare a proporre vini al di fuori di una denominazione – Bolgheri, ovviamente – che è piuttosto larga di maniche almeno nella scelta delle uve utilizzabili e ha un’alta reputazione (ovvero alti prezzi) in corredo. Voglio evitare però di entrare a piedi uniti sulle incongruenze e contraddizioni che hanno le nostre denominazioni (e Bolgheri ne ha probabilmente meno di altre), solo per questioni di tempi di lavoro, ma non rinuncerò a trattare la questione più avanti.
In ogni caso l’annata 2020 ha mostrato limiti e pregi anche nella versione Igt e forse anche in misura più evidente di quanto non è avvenuto con i Bolgheri Superiore. Non mancano certamente bottiglie di valore e proprio tra queste si confermano i punti di forza del millesimo che tende a mostrare i suoi aspetti migliori alla distanza e non nell’immediato.
Le note di degustazione sono disponibili qui, per gli abbonati.
Le bottiglie che si possono osservare nella foto hanno più aspetti in comune di quanto possiamo immaginarci. Le uve sono, evidentemente, diverse (nebbiolo e syrah), le zone di origine anche (Piemonte e Toscana), ovviamente il produttore non è lo stesso e non sono neanche state assaggiate nella stessa occasione. E quindi che ci fanno insieme?
Diciamo che sono unite dalla stessa annata – 2004 – ed è un’annata che ogni volta mi sorprende in positivo, per finezza tannica, profondità, equilibrio e freschezza di fondo, doti delle quali hanno fatto sfoggio all’unisono sia il Barolo Gramolere dei Fratelli Alessandria che il Syrah di Isole e Olena: due vini di quasi venti anni ancora in forma splendida.
Vendemmia piuttosto produttiva, si diceva al tempo della 2004, con qualche pioggia di troppo, tendenzialmente tardiva, ma alla fine sia in Piemonte che in Toscana, pur senza trascinare all’entusiasmo, aveva soddisfatto un po’ tutti.
Alla distanza si sta rivelando superiore alle attese e anche a millesimi più conclamati, perché molto spesso le annate non precoci e senza stress idrici partono lente ma sviluppano nel tempo un’armonia sorprendente.
In seguito alla modifica effettuata nel 2011, il disciplinare stabilisce che è possibile produrre un Bolgheri Rosso Doc con Cabernet Sauvignon, Cabernet Franc e Merlot nelle percentuali desiderate, dallo zero al cento per cento; con Sangiovese e Syrah la percentuale si riduce fino a un massimo del 50%. È inoltre consentito l’utilizzo, fino al 30%, delle altre varietà autorizzate dalla Regione Toscana nel territorio.
Certamente chi vuole produrre un Sangiovese o un Syrah in purezza non potrà etichettarlo come Doc ma, se confrontiamo le possibilità che ha un produttore di Bolgheri con quelli di altre zone, dove esiste un solo vitigno principale, la differenza in termini di opzioni è vistosa.
Considerando anche l’elevata quotazione commerciale dei vini Doc, non è facile comprendere dall’esterno una presenza così consistente di vini “Igt”. Da un’altra angolazione, ancora meno comprensibile potrebbe apparire la scelta di puntare, con tante opzioni disponibili, su varietà alternative come Petit Verdot o Malbec, anche se, a onor del vero, si tratta generalmente di sperimentazioni incentrate su quantità decisamente modeste. Evidentemente le motivazioni non mancano, inclusa la scelta di riservare alla Doc, come da originaria abitudine, solo i vini derivanti da un blend o lasciarsi comunque uno spazio di autonomia rispetto ai regolamenti e alla gabbia, seppur a maglie larghe, della denominazione.
Il tema degli intrecci tra vini Doc e Igt è ovviamente complesso, non riguarda solo Bolgheri e non può essere affrontato solo guardando in superficie; gli assaggi effettuati quest’anno, consultabili in zona abbonati e limitati in questo caso alle annate 2018 e 2019, non contribuiscono a dipanarlo ma mostrano che il buon grado di “salute” del territorio è al momento più da accreditare alla bontà dei singoli progetti aziendali che non al potenziale qualitativo dei vari vitigni utilizzati.
Ho atteso qualche mese per fare un nuovo giro di assaggi dei vini di Isole e Olena e, visto che avevo segnalato quila mia ammirazione per lo straordinario Cepparello 2018, volevo una conferma adeguata che ho ricevuto senza la minima incertezza. Il resto dei vini presentati dall’azienda di Paolo De Marchi come al solito non ha sfigurato: il Cabernet Sauvignon, nel misurarsi con un’annata complicata come la 2017, ha mostrato qualche “affanno” ma ha superato la prova, il Syrah 2018 ha esibito come di consueto un carattere originale che lo rende sempre più territoriale che varietale (e non è certo un difetto), lo Chardonnay 2019 continua a essere una delle rappresentazioni più felici del vitigno borgognone in terra toscana.
L’immagine riproduce la copertina della versione inglese del mio libro I Grandi Vini di Toscana, uscito il 23 novembre 2016 nelle principali librerie italiane.
Il libro ripercorre, attraverso la descrizione di 69 vini selezionati e particolarmente rappresentativi, un periodo cruciale dell’evoluzione del vino toscano. Su ogni vino sono riportate le informazioni tecniche relative ai metodi di produzione, le note storiche, gli aneddoti, completando il tutto con una degustazione verticale di ogni vino scelto.
Dall’introduzione:
Da tempo meditavo di dare forma e sostanza alla raccolta di oltre venti anni di appunti, di visite, incontri, suggestioni e, soprattutto, degustazioni. Centinaia e centinaia di bottiglie aperte e provate, ma anche assaggi dalla botte, lo stesso vino degustato appena nato e poi testato più volte nel corso degli anni. Insomma. alla fine mi sono accorto di poter raccontare storie all’infinito. E avrei desiderato farlo con un editore toscano, perché un libro sui vini toscani prodotto “in casa” avrebbe avuto un significato tutto particolare. È fortunatamente capitata l’occasione di proporre l’idea a Giunti che ha manifestato immediatamente grande interesse e molta disponibilità per l’argomento. Ne abbiamo parlato, poi abbiamo rimandato l’inizio del progetto, perché un editore di cose da fare ne ha tante, e anch’io avevo le mie. Il progetto originale si è piano piano delineato con maggiore chiarezza a entrambi e alla fine abbiamo, come si dice, messo nero su bianco e l’avventura di questa pubblicazione è partita.
E qui devo premettere che un libro come questo non è un libro qualsiasi, dove si raccolgono le idee, si dà loro un ordine e si inizia a scrivere. Avrei anche potuto fare così, in fondo ho molti assaggi archiviati nel corso degli anni, bastava metterli insieme e il gioco era fatto. In realtà, avendo a che fare con una materia “viva” come il vino poteva essere sicuramente interessante proporre le impressioni che mi aveva fatto quella determinata etichetta dieci anni fa, ma sarebbe stata soltanto una somma di annate diverse, non una verticale vera e propria. Dopo tante degustazioni “orizzontali” (più vini della stessa tipologia e annata) che mostrano solo una faccia della luna, l’assaggio “verticale” permette di esplorare il carattere e il valore di un vino sotto una prospettiva del tutto diversa dal solito. E ne restituisce un’immagine più completa e profonda che va oltre il semplice piacere di una bottiglia…
Come ho scelto i vini? Chiaramente gran parte della selezione effettuata riflette semplicemente il mio gusto, è ovvio che molti dei vini presenti siano tra i miei preferiti sulla base degli assaggi effettuati in tanti anni di attività.
Nella scelta ho tenuto conto non solo delle mie preferenze personali, ma anche della rappresentatività delle varie zone e tipologie, e della presenza di originalità degne di nota. Ho completato l’elenco con vini che, anche se non proprio in cima ai miei desideri, hanno fatto parlare di sé in questi ultimi anni, raggiungendo un’alta reputazione sul piano nazionale e internazionale e che ho ritenuto interessante comprenderli in un’indagine qualitativa che poteva riservare (e riservarmi) qualche sorpresa.
Non ricordo quando ho assaggiato il mio primo vino, ma ricordo bene da quando questa passione si è trasformata in lavoro; e posso dire che ormai sono più di venti anni che, prima come collaboratore, poi come diretto responsabile, ho frequentato varie pubblicazioni specializzate del settore. Quanti vini sconosciuti e oggi apprezzati da tutti ho segnalato in questi anni? Ho perso il conto, ma confesso che ancora oggi continuo ad assaggiare con la stessa passione e voglia di ricerca di allora. Ed è questo che voglio fare, non faccio il filosofo, mi limito semplicemente a dire quanto e perché un vino mi piace. Ma lo faccio rivendicando un’autonomia e un’indipendenza di giudizio che oggi mi sembra merce assai rara. Per questo motivo credo ci sia lo spazio per proporre un sito imperniato seriamente e quasi esclusivamente sulle note di assaggio. Ernesto Gentili Per contattarmi: info@ernestogentili.it
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Dopo le prime collaborazioni con Slow Food Editore per le pubblicazioni Guida al Vino Quotidiano e Guida ai Vini del Mondo, ha iniziato nel 1994 a occuparsi della Guida Vini d’Italia di Gambero Rosso-Slow Food, assumendo dopo pochi anni il ruolo di responsabile della Toscana; e successivamente anche di curatore per due edizioni dell’Almanacco del Berebene. Dal marzo 2003 è passato al ruolo di curatore, insieme a Fabio Rizzari, della Guida I Vini d’Italia del gruppo editoriale L’Espresso, seguendo tutte le edizioni successivamente realizzate, dalla 2004 fino alla più recente 2016. È stato membro permanente del Grand Jury Européen, ha al suo attivo anche varie collaborazioni con testate straniere, come la Revue du Vin de France, Decanter e la giapponese Wine Kingdom, oltre che con altre pubblicazioni specializzate italiane. Nel novembre 2016 è uscito in libreria il suo libro I Grandi Vini di Toscana (The Great Wines of Tuscany nell’edizione inglese), edito da Giunti.
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PREMI E RICONOSCIMENTI – Premio Casato Cinelli Colombini 2001 per Miglior articolo su Montalcino (per Slow Food Editore). – Premio Grandi Cru d’Italia 2008 come “miglior giornalista del vino”. – Segnalato dalla rivista inglese Decanter (gennaio 2010) tra i 10 personaggi più influenti del vino italiano. – Premio Lamole 2012: cittadinanza onoraria di Lamole. – Premio Casato Cinelli Colombini 2013 per Miglior articolo su Montalcino (per L’espresso Editore).
Dopo aver maturato un adeguato bagaglio di esperienza lavorando per ristoranti e alberghi in Italia e Svizzera, Claudio Corrieri decide, nel 1994, di aprire Lo Scoglietto sul lungomare di Rosignano Solvay (LI).
Diplomato Sommelier nel 1996, coltiva la passione per il vino cercando di approfondire la sua voglia di conoscenza, attraverso letture, viaggi, frequentazione di corsi di aggiornamento e, soprattutto, stappando tante bottiglie.
Gestisce, nel frattempo, un altro locale, InVernice, che diventa nel giro di pochi anni il punto di riferimento per gli appassionati di vino dell’area livornese.
Nel 2010 inizia a collaborare con la prima edizione di Slowine e dall’anno successivo entra a far parte del team della Guida Vini dell’Espresso, curata da Ernesto Gentili e Fabio Rizzari, fino al cambio di direzione, avvenuto un paio di anni fa.
Nello stesso periodo inizia il suo rapporto con il web, scrivendo articoli su vini del Rodano e della Borgogna per il sito diretto dall’amico Fernando Pardini (www.acquabuona.it) e continuando, nell’attualità, a mantenere una stretta collaborazione con Ernesto Gentili su queste pagine.
Da pochi anni si occupa, insieme all’amico (nonché valente degustatore) Daniele Bartolozzi, di importazione diretta di Champagne attraverso un’accurata selezione di piccoli produttori (www.lebollicine.eu).