In seguito alla modifica effettuata nel 2011, il disciplinare stabilisce che è possibile produrre un Bolgheri Rosso Doc con Cabernet Sauvignon, Cabernet Franc e Merlot nelle percentuali desiderate, dallo zero al cento per cento; con Sangiovese e Syrah la percentuale si riduce fino a un massimo del 50%. È inoltre consentito l’utilizzo, fino al 30%, delle altre varietà autorizzate dalla Regione Toscana nel territorio.
Certamente chi vuole produrre un Sangiovese o un Syrah in purezza non potrà etichettarlo come Doc ma, se confrontiamo le possibilità che ha un produttore di Bolgheri con quelli di altre zone, dove esiste un solo vitigno principale, la differenza in termini di opzioni è vistosa.
Considerando anche l’elevata quotazione commerciale dei vini Doc, non è facile comprendere dall’esterno una presenza così consistente di vini “Igt”. Da un’altra angolazione, ancora meno comprensibile potrebbe apparire la scelta di puntare, con tante opzioni disponibili, su varietà alternative come Petit Verdot o Malbec, anche se, a onor del vero, si tratta generalmente di sperimentazioni incentrate su quantità decisamente modeste. Evidentemente le motivazioni non mancano, inclusa la scelta di riservare alla Doc, come da originaria abitudine, solo i vini derivanti da un blend o lasciarsi comunque uno spazio di autonomia rispetto ai regolamenti e alla gabbia, seppur a maglie larghe, della denominazione.
Il tema degli intrecci tra vini Doc e Igt è ovviamente complesso, non riguarda solo Bolgheri e non può essere affrontato solo guardando in superficie; gli assaggi effettuati quest’anno, consultabili in zona abbonati e limitati in questo caso alle annate 2018 e 2019, non contribuiscono a dipanarlo ma mostrano che il buon grado di “salute” del territorio è al momento più da accreditare alla bontà dei singoli progetti aziendali che non al potenziale qualitativo dei vari vitigni utilizzati.