VERTICALE (2004-2019) DEL BOLGHERI ROSSO LE MACCHIOLE

La brochure preparata da Le Macchiole per l’occasione è puntuale nei dettagli informativi e, in linea con lo stile aziendale, decisamente non autocelebrativa. Nella premessa alla degustazione, svoltasi lo scorso 3 settembre, dichiara tra l’altro che “il Bolgheri Rosso fa parte di un progetto ben definito fin dalla vigna: l’uva utilizzata viene da una serie di parcelle precisamente individuate… Fino all’annata 2009 ha mantenuto nel taglio gli ultimi i filari di sangiovese sostituito poi dal cabernet sauvignon…Negli ultimi anni è stato composto da merlot, cabernet franc, cabernet sauvignon e una minima parte di syrah”.
Non è quindi da ritenersi un vino di base (definizione deprecabile e infelice), né tanto meno il raccoglitore degli scarti dei tre rossi di punta (Messorio, Paleo, Scrio), si potrebbe dire che ha una sua autonomia e che è sicuramente rappresentativo sia degli intenti della proprietà – anche in considerazione della quantità prodotta (150mila bottiglie) – sia della tipologia, in quanto ricavato da un assemblaggio di più uve come si conviene normalmente a un Bolgheri Rosso Doc.
La verticale de Le Macchiole ha messo in risalto un potenziale di longevità degno di un vino di prima fascia e ha costituito indubbiamente una testimonianza interessante dell’evoluzione e dei cambiamenti tecnici e soprattutto stilistici avvenuti nell’intervallo tra il 2004 e il 2019 e non mi riferisco soltanto a Bolgheri. La ricerca di un rapporto più bilanciato e favorevole al frutto rispetto ai tannini (leggi anche rovere), si è delineata via via con maggiore chiarezza e si è arricchita nel corso degli anni dell’esigenza di rispettare gli equilibri, valorizzare il carattere aromatico e conseguentemente rafforzare sia la complessità sia il senso d’identità.

Seguono, per gli abbonati, le note di degustazione.

SELEZIONE VINI 2021: VARRAMISTA

Quando un produttore – in questo caso Varramista – ti propone di assaggiare il suo vino più rappresentativo (omonimo) in una mini verticale composta dalle annate 2002, 2003 e 2005, non puoi fare a meno di chiederti se ama le sfide impossibili o se, in preda a un attacco masochistico, vuole solo vedere se chi scrive è così magnanimo da limitarsi ad assegnare al pezzo un titolo del tipo: “le peggiori annate del Varramista”.
Niente di tutto questo, come tutti avranno intuito, dato che la degustazione si è rivelata alquanto-assai-oltremodo sorprendente. I motivi di cotanta sorpresa? Andiamo con ordine.
Le annate 2002 e 2003 sono state, per motivi opposti – troppo piovosa e fredda, troppo arida e calda – tra le più difficoltose del secolo. E, come è intuibile, sono i “motivi opposti” a fare riflettere e restare senza risposta. La 2005 poi in Toscana è stata un’annata media, molto media anzi, e in aggiunta nessuno dei tre millesimi aveva sinora dato, anche su tipologie diverse, promettenti segnali di tenuta nel tempo. Lo stesso concetto è ampliabile alle capacità di evoluzione del Syrah come di altre uve della stessa area di produzione del Varramista (Montopoli-San Miniato).
Mi sono dunque avvicinato a questo assaggio con tutto lo scetticismo di cui dispongo ma anche con la (flebile) speranza di essere felicemente stupito.
Come, in effetti, è successo.

Seguono, per gli abbonati, le note di degustazione.

I VINI DE LE MACCHIOLE

Il successo dei vini de Le Macchiole è consolidato da tempo, i trofei si accumulano, molti produttori non farebbero altro che celebrarli, ma non Cinzia Merli che è più critica di qualsiasi critico nei confronti dei suoi vini: c’è una punta di alcol in più, il tannino non è del tutto maturo, manca l’allungo finale, un pizzico di freschezza supplementare non avrebbe guastato, si sente troppo il rovere, i profumi sono coperti e così via…Non sono parole sue ma le mie traduzioni – spero di non sbagliarmi ma conosco Cinzia da un po’ di tempo – dei suoi sguardi perplessi o delle sue smorfie che si accentuano non solo se non condivide le critiche ma anche quando c’è qualcuno che la lusinga ed esalta eccessivamente il Messorio, il Paleo o lo Scrio anche in annate che lei non trova così ben riuscite. Perché, evidentemente, cerca un confronto serio e non complimenti a buon mercato.
Parto da questa premessa perché nel resoconto degli assaggi delle annate 2017, 2018 e 2019 (le ultime due in anteprima) dei tre rossi sopra citati, le mie considerazioni (leggibili in zona abbonati) evitano le lusinghe, abbondano di apprezzamenti ma non sono esenti da critiche: sempre nel segno del confronto.

Il seguito è riservato agli abbonati.

TERRE DEL MARCHESATO

Attiva nel territorio da una ventina di anni, Terre del Marchesato produce vini ben strutturati con una gamma di etichette distribuita tra Bolgheri Doc e una serie di selezioni da monovitigno articolate tra un Cabernet Sauvignon (Tarabuso), un Merlot (Aldone) e perfino un Petit Verdot dedicato al titolare della cantina, Maurizio Fuselli. Fino a pochi anni fa era presente anche un Syrah in purezza (Marchesale) che oggi è diventato un Bolgheri Superiore Doc dal singolare uvaggio: per metà syrah e per metà un classico mix di uve bordolesi.
Ed è anche il vino, tra quelli provati quest’anno, dal profilo stilistico più definito e improntato all’equilibrio e alla bevibilità, due obiettivi difficili da cogliere in un’annata complicata come la 2017 ma che sono stati raggiunti rinunciando probabilmente (e opportunamente) a una ipotetica frazione di complessità supplementare.

Seguono, per gli abbonati, le note di degustazione.

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