BORDEAUX PRIMEURS 2021. Spunti e riflessioni.

Come spesso è capitato in passato, una visita approfondita del territorio bordolese è sempre utile per avere una visione più completa di quello che bolle in pentola sul piano delle tecniche agronomiche ed enologiche, con qualche riflesso dell’effetto-marketing sullo sfondo.

Non entro nello specifico delle pratiche agronomiche ma mi limito a riportare la tendenza, in continua via di espansione, a passare alla conduzione biologica e, in non pochi casi, anche biodinamica. Non si vedono più campi resi “aranciati” dall’uso indiscriminato di diserbanti ma aumentano a vista d’occhio i filari inerbiti, come si infittiscono gli studi sul sottosuolo e sull’incidenza del flusso delle acque.

In cantina si assiste poi a una piccola rivoluzione. In alcune aziende l’uso di anfore e contenitori in ceramica è ormai qualcosa di più di un semplice esperimento o di un’esibizione di facciata e, udite, udite, in più di un caso si vanno diffondendo botti dai 18 ai 30 quintali. Si dirà, guarda che novità, noi sul sangiovese e sul nebbiolo le usiamo da sempre. Ma qui si parla di cabernet e merlot! In buona sostanza prende corpo la scelta di sostituire le barrique usate – anche una sola volta – con le botti grandi, con l’obiettivo di mantenere freschezza, tenere sotto controllo l’assorbimento di sostanze aromatiche e fenoliche dal rovere oltre che a ridurre i problemi di carattere batterico-sanitario (brettanomices..).

Non solo. Il cambiamento e l’imprevedibilità climatica hanno suggerito di registrare e aggiornare i meccanismi di estrazione dei polifenoli al punto che si attuano fermentazioni con grappolo intero e il termine – e conseguentemente la pratica – “délestage” non è più utilizzato nelle cantine bordolesi, i rimontaggi sono ormai una tecnica ridotta ai minimi termini e, anche se so benissimo che queste non sono proprio novità dell’ultima ora (se ne parlava già 12-15 anni fa), lo ribadisco ad uso e riflessione di alcune cantine nostrane che insistono con metodi che continuano stancamente a inondare il vino di una massa di tannini non solo inutile ma pure nefanda.

Sul marketing ho poco da dire se non trasmettere il messaggio che lo stile che un’azienda ha raggiunto e guadagnato in decenni di lavoro ha un valore che non può essere messo in gioco con operazioni commerciali discutibili (vedi confezioni speciali) e con esibizioni appariscenti che vanno bene per il lancio di una nuova discoteca. Per essere più esplicito, di parvenu, di selfie e altre stravaganze (e cialtronaggini) assortite ma apparentemente così in voga in Italia, a Bordeaux non ho visto traccia.
Ma, ripeto, sono semplicemente considerazioni che valgono e hanno un senso per le realtà dotate di uno stile o che almeno ambiscono ad averlo.

A seguire il Report sugli assaggi dei vini (rossi) di Graves e Pessac-Léognan.

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