Mancavo da qualche anno dall’assaggio dei Barolo di Sergio Germanoe debbo dire che alla fine è stato un vuoto colmato da un processo di crescita significativo e anche superiore alle più ottimistiche attese.
Nella sostanza le potenziali insidie dell’annata 2017 sono state superate in scioltezza dai cru Cerretta e Prapò che riescono a mettere in rilievo il loro consueto e ben riconoscibile carattere, aromatico e gustativo, senza subire intromissioni tanniche o effusioni alcoliche, grazie a una sapiente gestione della loro possente struttura. È mia convinzione che fino a non molti anni fa un’annata del genere non si sarebbe espressa con la stessa compattezza e qualche eccesso tannico – di uva o di rovere – sarebbe emerso con decisione. Certamente i vigneti crescono e maturano ma cresce soprattutto la capacità interpretativa di chi il vino lo “firma”.
Partendo da queste premesse, visto il valore del cru e il potenziale dell’annata, non sussistono quindi motivi di stupirsi per la strabiliante qualità esibita dal VignaRionda 2016: un vero capolavoro. Al punto di relegare quasi ai margini un’eccellente versione 2019 del Riesling Hérzu.
Non voglio tirar fuori la solita pappardella della longevità e quanto siano sottovalutati alcuni vini bianchi italici, come ho più volte ribadito. Lo stesso Hérzu di Ettore Germano, ha inizialmente subìto dalla maggioranza degli assaggiatori (ma so’ ragazzi..) questo trattamento diffidente, per poi essere riconosciuto universalmente come vino di indubbio valore.
Ogni tanto affiora tuttavia qualcuno che afferma “d’accordo è buono, ma i Riesling della Mosella sono ben altra cosa”. Giusta obiezione: infatti l’Hérzu è un Riesling non prodotto in Mosella ma in Piemonte e sull’etichetta riporta l’indicazione Langhe..
D’altro canto mi rendo conto che sia quasi inevitabile fare questi raffronti, lo stesso succede ogni volta che ci troviamo davanti un Pinot Nero e c’è chi non può fare a meno di sparare: “non dico che non sia buono ma, insomma, non lega neanche le scarpe a un normale Village”.
Se sposto, però, il confronto tra vini dello stesso territorio e non dello stesso vitigno, forse le idee si schiariscono e le differenze emergono. Ve lo immaginate il migliore Pinot Nero prodotto in Langa Versus i Barolo o i Barbaresco? Oppure un altrettanto ambizioso Pinot Noir prodotto in Chianti Classico contro i migliori rossi di quel territorio? Con tutto il rispetto per chi li produce, finirebbero a pezzi.
Se invece prendo un vino come l’Hérzu e lo confronto non solo con i langaroli ma con i migliori bianchi d’Italia, non dico sia il migliore, non esageriamo, ma la sua “porca” figura continua a farla.
Quindi, spero di essere stato sufficientemente chiaro, l’Hérzu è un eccellente bianco italiano, come Riesling è invece “solo” ottimo e risente, come è giusto che sia, della matrice territoriale e non solo di quella varietale.
La degustazione è stata condotta in due fasi diverse. La prima, nel 2017, ha preso in esame le annate 2010, 2013 e 2015; la seconda, effettuata a fine estate 2020 con la preziosa collaborazione di Claudio Corrieri, ha analizzato i millesimi 2008, 2009, 2013 e 2015.
Dopo il 2011 Sergio Germano, figlio di Ettore e titolare dell’azienda di famiglia, ha iniziato a utilizzare una chiusura con il tappo a vite (Stelvin) e non più con il tradizionale sughero: solo per il coraggio di questa scelta meriterebbe di essere portato in trionfo (si fa per dire eh, Sergio non è proprio un peso piuma).
Sta di fatto che se i vini fossero vistosamente peggiorati saltava l’alibi di dare la colpa al solito, povero, inaffidabile tappo; ma, guarda caso, la valutazione del 2013 a distanza di anni è stata identica e il commento molto simile, mentre l’Hérzu 2015, visto che il primo assaggio si era svolto a pochissimi mesi dall’imbottigliamento, ha registrato una crescita prevedibile e coerente, a dimostrazione che il vino compie comunque una sua evoluzione anche usando il discusso tappo a vite e mantiene la sua integrità senza dare spazio agli alibi.
La classificazione delle annate si presta sempre a molte controversie perché si dovrebbe intanto chiarire che cosa si intende per buona o per grande annata, tralasciando poi il fatto che quanto più esteso è il territorio al quale ci si riferisce quanto più approssimativa, ovviamente, è la classificazione. Tagliando corto su un argomento assai meritevole di approfondimento, semplifico sottolineando come ci siano millesimi diffusamente eccellenti (parlando di vini rossi) in certe regioni vinicole e non in altre, come ad esempio il 1989, ottimo in Borgogna, Piemonte e Bordeaux e scadente in Toscana, o il 2005, straordinaria in Francia e assai meno in Italia. Ci sono poi annate disastrose ovunque come la 1992 (appena un po’ meglio in Borgogna) e annate universalmente eccezionali come la 2016. Buona parte dei Barolo di Virna Borgogno che ho assaggiato e recensito appartengono appunto a questo felice millesimo, con l’unica eccezione della pur ottima Riserva 2013.
Un’annata che non poteva quindi deludere e che ha trovato, in questo caso, il suo alfiere nel cru Sarmassa,del quale esibisce il tipico compendio di freschezza su una struttura tradizionalmente robusta.
Sicuramente l’annata 2016 – diffusamente eccellente su tutto o quasi il suolo italico e non solo – ha dato un contributo non irrilevante alla buona riuscita di molti vini e il Roero Riserva di Cascina Val del Prete ne è testimone buono e valente. Ma ridurre ai favori di un’annata propizia tutto l’assaggio dei vini della “Cascina” è certamente limitativo, anzi, per essere espliciti, non è proprio giusto, visto che gli ottimi Roero Bricco Medica e la Barbera d’Alba Carolina sono stati concepiti con la ben più faticosa vendemmia 2017.
Alla resa dei conti, come spesso accade, nei grandi territori è la capacità del produttore di interpretare al meglio ogni singola annata il vero fattore decisivo. Con la parziale eccezione del Roero Vigna di Lino, ancora indietro nell’evoluzione, tutti i vini provati quest’anno hanno infatti evidenziato maturità bilanciate, frutti integri e strutture robuste non disgiunte da una giusta e apprezzabile dose di freschezza; senza tralasciare che la gestione complessiva dei tannini (rovere compreso, ovviamente) è sembrata decisamente ben registrata.
E nei vini rossi il tannino qualcosa conta…
L’immagine riproduce la copertina della versione inglese del mio libro I Grandi Vini di Toscana, uscito il 23 novembre 2016 nelle principali librerie italiane.
Il libro ripercorre, attraverso la descrizione di 69 vini selezionati e particolarmente rappresentativi, un periodo cruciale dell’evoluzione del vino toscano. Su ogni vino sono riportate le informazioni tecniche relative ai metodi di produzione, le note storiche, gli aneddoti, completando il tutto con una degustazione verticale di ogni vino scelto.
Dall’introduzione:
Da tempo meditavo di dare forma e sostanza alla raccolta di oltre venti anni di appunti, di visite, incontri, suggestioni e, soprattutto, degustazioni. Centinaia e centinaia di bottiglie aperte e provate, ma anche assaggi dalla botte, lo stesso vino degustato appena nato e poi testato più volte nel corso degli anni. Insomma. alla fine mi sono accorto di poter raccontare storie all’infinito. E avrei desiderato farlo con un editore toscano, perché un libro sui vini toscani prodotto “in casa” avrebbe avuto un significato tutto particolare. È fortunatamente capitata l’occasione di proporre l’idea a Giunti che ha manifestato immediatamente grande interesse e molta disponibilità per l’argomento. Ne abbiamo parlato, poi abbiamo rimandato l’inizio del progetto, perché un editore di cose da fare ne ha tante, e anch’io avevo le mie. Il progetto originale si è piano piano delineato con maggiore chiarezza a entrambi e alla fine abbiamo, come si dice, messo nero su bianco e l’avventura di questa pubblicazione è partita.
E qui devo premettere che un libro come questo non è un libro qualsiasi, dove si raccolgono le idee, si dà loro un ordine e si inizia a scrivere. Avrei anche potuto fare così, in fondo ho molti assaggi archiviati nel corso degli anni, bastava metterli insieme e il gioco era fatto. In realtà, avendo a che fare con una materia “viva” come il vino poteva essere sicuramente interessante proporre le impressioni che mi aveva fatto quella determinata etichetta dieci anni fa, ma sarebbe stata soltanto una somma di annate diverse, non una verticale vera e propria. Dopo tante degustazioni “orizzontali” (più vini della stessa tipologia e annata) che mostrano solo una faccia della luna, l’assaggio “verticale” permette di esplorare il carattere e il valore di un vino sotto una prospettiva del tutto diversa dal solito. E ne restituisce un’immagine più completa e profonda che va oltre il semplice piacere di una bottiglia…
Come ho scelto i vini? Chiaramente gran parte della selezione effettuata riflette semplicemente il mio gusto, è ovvio che molti dei vini presenti siano tra i miei preferiti sulla base degli assaggi effettuati in tanti anni di attività.
Nella scelta ho tenuto conto non solo delle mie preferenze personali, ma anche della rappresentatività delle varie zone e tipologie, e della presenza di originalità degne di nota. Ho completato l’elenco con vini che, anche se non proprio in cima ai miei desideri, hanno fatto parlare di sé in questi ultimi anni, raggiungendo un’alta reputazione sul piano nazionale e internazionale e che ho ritenuto interessante comprenderli in un’indagine qualitativa che poteva riservare (e riservarmi) qualche sorpresa.
Non ricordo quando ho assaggiato il mio primo vino, ma ricordo bene da quando questa passione si è trasformata in lavoro; e posso dire che ormai sono più di venti anni che, prima come collaboratore, poi come diretto responsabile, ho frequentato varie pubblicazioni specializzate del settore. Quanti vini sconosciuti e oggi apprezzati da tutti ho segnalato in questi anni? Ho perso il conto, ma confesso che ancora oggi continuo ad assaggiare con la stessa passione e voglia di ricerca di allora. Ed è questo che voglio fare, non faccio il filosofo, mi limito semplicemente a dire quanto e perché un vino mi piace. Ma lo faccio rivendicando un’autonomia e un’indipendenza di giudizio che oggi mi sembra merce assai rara. Per questo motivo credo ci sia lo spazio per proporre un sito imperniato seriamente e quasi esclusivamente sulle note di assaggio. Ernesto Gentili Per contattarmi: info@ernestogentili.it
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Dopo le prime collaborazioni con Slow Food Editore per le pubblicazioni Guida al Vino Quotidiano e Guida ai Vini del Mondo, ha iniziato nel 1994 a occuparsi della Guida Vini d’Italia di Gambero Rosso-Slow Food, assumendo dopo pochi anni il ruolo di responsabile della Toscana; e successivamente anche di curatore per due edizioni dell’Almanacco del Berebene. Dal marzo 2003 è passato al ruolo di curatore, insieme a Fabio Rizzari, della Guida I Vini d’Italia del gruppo editoriale L’Espresso, seguendo tutte le edizioni successivamente realizzate, dalla 2004 fino alla più recente 2016. È stato membro permanente del Grand Jury Européen, ha al suo attivo anche varie collaborazioni con testate straniere, come la Revue du Vin de France, Decanter e la giapponese Wine Kingdom, oltre che con altre pubblicazioni specializzate italiane. Nel novembre 2016 è uscito in libreria il suo libro I Grandi Vini di Toscana (The Great Wines of Tuscany nell’edizione inglese), edito da Giunti.
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PREMI E RICONOSCIMENTI – Premio Casato Cinelli Colombini 2001 per Miglior articolo su Montalcino (per Slow Food Editore). – Premio Grandi Cru d’Italia 2008 come “miglior giornalista del vino”. – Segnalato dalla rivista inglese Decanter (gennaio 2010) tra i 10 personaggi più influenti del vino italiano. – Premio Lamole 2012: cittadinanza onoraria di Lamole. – Premio Casato Cinelli Colombini 2013 per Miglior articolo su Montalcino (per L’espresso Editore).
Dopo aver maturato un adeguato bagaglio di esperienza lavorando per ristoranti e alberghi in Italia e Svizzera, Claudio Corrieri decide, nel 1994, di aprire Lo Scoglietto sul lungomare di Rosignano Solvay (LI).
Diplomato Sommelier nel 1996, coltiva la passione per il vino cercando di approfondire la sua voglia di conoscenza, attraverso letture, viaggi, frequentazione di corsi di aggiornamento e, soprattutto, stappando tante bottiglie.
Gestisce, nel frattempo, un altro locale, InVernice, che diventa nel giro di pochi anni il punto di riferimento per gli appassionati di vino dell’area livornese.
Nel 2010 inizia a collaborare con la prima edizione di Slowine e dall’anno successivo entra a far parte del team della Guida Vini dell’Espresso, curata da Ernesto Gentili e Fabio Rizzari, fino al cambio di direzione, avvenuto un paio di anni fa.
Nello stesso periodo inizia il suo rapporto con il web, scrivendo articoli su vini del Rodano e della Borgogna per il sito diretto dall’amico Fernando Pardini (www.acquabuona.it) e continuando, nell’attualità, a mantenere una stretta collaborazione con Ernesto Gentili su queste pagine.
Da pochi anni si occupa, insieme all’amico (nonché valente degustatore) Daniele Bartolozzi, di importazione diretta di Champagne attraverso un’accurata selezione di piccoli produttori (www.lebollicine.eu).