Costa d’Amalfi DOC Furore Bianco Fiorduva – MARISA CUOMO
La degustazione di tre annate – riproposta tre anni dopo – del Fiorduva di Marisa Cuomo si è rivelata utilissima per fare un po’ di chiarezza sull’eterno confronto tra apparenza e realtà, tra il fumo e l’arrosto per intenderci meglio. Eh si, perché ci sono vini che nella loro essenza sono una cosa ma, a prima vista (olfatto, gusto..), sembrano un’altra.
Il Fiorduva – ricavato dal mix delle uve Fenile, Ginestra e Ripoli raccolte surmature – ha un indiscusso successo, piace a molti, se non a tutti, e sa come farsi piacere: figlio di una tecnica irreprensibile, presenta un ampio repertorio di profumi esotici, un pizzico ben calibrato di dolcezza sul palato che provoca una piacevolezza immediata o che, almeno, non può risultare sgradevole a nessuno. Insomma, “funziona” e provoca una domanda inevitabile: che gli vuoi dire a un vino del genere?
E invece qualche critica riesce ad attirarla. Troppo preciso, calcolato, “perfettino”, “ammiccante”, manca di spontaneità e via dicendo.
È inutile negare che qualche interrogativo sulla reale complessità, sul carattere (varietale e territoriale o, almeno, uno dei due) e anche sulla tenuta nel tempo alla fine è giustificato porselo, anche in considerazione degli effetti delle scelte di surmaturazione. Lo so, sono un po’ “palloso”, non esistono in fondo stili o forme non suscettibili di essere criticate, un punto debole, o presunto tale, al quale attaccarsi si trova sempre.
Però gli assaggi a distanza di tempo, seguiti tre anni dopo da un’ulteriore replica, qualcosa di risolutivo in più riescono a trasmetterla e, dopo varie prove, posso concludere che il metodo applicato ha ragione di essere.
Ovvero, nel caso specifico, debbo riconoscere che, azzerando dubbi e interrogativi, il Fiorduva ha superato il test con una disinvoltura che, sinceramente, non mi sarei atteso.
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