Vigneti delle Dolomiti Nosiola Fontanasanta FORADORI
Non sono particolarmente attratto e ancor meno affascinato dai vini “orange” o “all’antica”, quei bianchi, cioè, macerati più o meno a lungo sulle bucce e spesso affinati in contenitori non convenzionali anche se di diffusione sempre maggiore, come le anfore di terracotta. Li trovo generalmente vini approssimativi, ossidati, rustici, pesanti, con ingerenze tanniche che sarebbero considerate fuori misura anche in un vino rosso. E se non bastasse, nella considerazione che sono nati anche per sottolineare una specifica originalità, sono, al contrario, tragicamente omologati tra loro: stessi profumi (volatile e ossidazione) e stesso sapore (dolciastro e tannico) a prescindere dalle annate, dal territorio e dal vitigno di origine. Riconoscibilità zero. Né più né meno di certi famigerati bianchi di fine anni ’90, orrendamente definiti all’epoca come “barriccati”.
Detto questo – oggi sono in vena di complimenti -, dato che anch’io ho qualche pregio in mezzo a mille difetti tra i quali primeggia quello di non riconoscermi difetti, riesco tuttavia ad avere la capacità di distaccarmi e assaggiare senza pregiudizi. Anzi, ogni volta che provo un bianco di stile macerativo il mio atteggiamento è di sperare sempre, e spesso vanamente, di essere stupito in positivo.
Negli ultimi tempi, debbo confessare che ho apprezzato con maggiore frequenza che in passato (bastava davvero poco in realtà per alzare la media) qualche bianco macerato. Tutta questa premessa prima di affrontare il tema odierno è probabilmente un po’ eccessiva ma volevo chiarire il punto di partenza della degustazione annunciata.
Ho assaggiato più volte la Nosiola Fontanasanta di Elisabetta Foradori e.………segue per gli abbonati