Menzioni aggiuntive chiantigiane, un’occasione da non sprecare

 

Menzioni aggiuntive chiantigiane, un’occasione da non sprecare


Un po’ tutti gli addetti ai lavori sanno che in Chianti Classico ferve una serrata discussione intorno alle “menzioni aggiuntive” ovvero le indicazioni di zone specifiche di produzione all’interno dell’attuale denominazione. A sottolineare l’esigenza di una maggiore caratterizzazione delle varie aree del territorio si sono anche costituite, nel corso degli anni, associazioni di produttori che, tra l’altro, organizzano eventi di presentazione del Chianti Classico di Castellina, Castelnuovo Berardenga, Gaiole, Panzano, Radda (in ordine alfabetico, non di importanza) e così via.

Ovviamente il tema è complesso come è complesso il territorio, per la sua vastità e le sue peculiarità (zone di produzione, tipologie di produttori, etc..) ed è comprensibile che non sia facile trovare rapidamente soluzioni che siano ritenute soddisfacenti dalla maggioranza degli attori in gioco.

Il dibattito però coinvolge non solo i diretti interessati, ovvero i produttori, ma anche chi il Chianti Classico lo consuma e, nel mio caso, ne scrive (oltre a consumarlo..), perché spesso siamo noi scribacchini a dover illustrare, a chi ci legge o ascolta, il significato di certe definizioni. Tanto per chiarirsi, dover spiegare, a un lettore generico o a un collega straniero o di altri settori, la differenza tra una Gran Selezione e una Riserva, è risultato fino ad oggi un compito improbo dagli esiti desolatamente incerti. Anche se, onestamente, va almeno riconosciuto alla Gran Selezione il merito di aver contribuito al completamento di quella agognata piramide qualitativa della DOCG, rappresentandone, a torto o a ragione, la punta

Per fare invece il punto della situazione diciamo allora che le diversità presenti non solo nell’insieme del territorio del Gallo Nero ma all’interno di ogni Comune chiantigiano, anche solo sotto il profilo altimetrico, inducono ad affermare che la menzione ha tanto più senso quanto più scende nel dettaglio, indicando i luoghi o le località all’interno del Comune in cui sono dislocati i vigneti. Non solo Gaiole, quindi, ma, come minimo, anche “Monti in Chianti”. Non solo Greve ma almeno Lamole, Ruffoli e Panzano. Si inizi, quindi, dall’indicazione del Comune di appartenenza ma insieme si stabiliscano anche i criteri e le regole per inserire ulteriori menzioni specifiche. 

Ho già accennato, e sappiamo ormai tutti bene, che le menzioni, come si conoscono in Borgogna e nelle Langhe, nascono come strumento di caratterizzazione del territorio perché segnalano, con una precisione che dipende dai dettagli di cui sopra, il luogo di provenienza (origine) delle uve utilizzate per fare quel vino; il che non significa che quelle uve siano migliori di altre ma solo che provengono dal luogo citato nell’etichetta e (magari) posseggono elementi di distinzione che giustificano l’uso di un’indicazione di origine supplementare. Ne consegue che la menzione non si pone né sopra né sotto ma è trasversale rispetto alle attuali tipologie e, pur non certificando, come già detto, una differenza qualitativa, è comunque decisamente qualificante per l’intera denominazione. E va da sé che debba essere applicata, trasversalmente, a tutte le tipologie.

Limitarla alla punta (Gran Selezione) della piramide costituirebbe solo un’operazione di facciata: non se ne accorgerebbe nessuno (non arriva al 10 per cento dell’imbottigliato complessivo) e avrebbe come conseguenza certa il progressivo allontanamento del vino di base dal vertice.

Non credo che possa essere questo l’obiettivo perseguito da tanto, troppo tempo.

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