Il soggiorno obbligato di questo periodo è servito soltanto a (tentare di) dare un po’ di ordine in cantina, con la segreta speranza di ritrovare nascosta qualche bottiglia di pregio più che per catalogare con precisione le poche che restano. Non ho avuto di queste sorprese ma ho trovato però una cassa piena di “testimoni” di vecchie bevute, con una sfilza di Mouton Rothschild di svariate annate in evidenza.
Mouton è il vino più imprevedibile e stilisticamente meno classico nel gruppo dei premier cru del Médoc, oltre che marcatamente diverso dall’altro famoso Château “Rothschild”, Lafite ovviamente. Molti sapranno che le due proprietà sono ben distinte tra loro, separate addirittura da metà ottocento, quando Nathaniel Rothschild, rappresentante del ramo inglese della famiglia, acquisì Mouton, seguito pochi anni dopo, da James, referente del ramo francese, che comprò Lafite.
Voluttuoso, opulento, quasi esotico è Mouton, mentre estremamente raffinato, tipicamente rafraichissant e profondo è Lafite.
Mouton è anche il vino che divide maggiormente sia i critici che gli appassionati, tra chi storce il naso e chi ne è entusiasta. I detrattori affermano che il suo tipico profumo di moka deriva unicamente dalla cessione delle note tostate della barrique; al contrario i sostenitori sostengono (altrimenti che sostenitori sarebbero) che gli aromi di torrefazione, cedro, spezie orientali sono semplicemente un dono dello straordinario terroir della proprietà di Madame Philippine de Rothschild.
Le bottiglie vuote di Mouton emerse dalla cantina sono delle annate 1981, 1983, 1986, 1989, 1992, 1996 e ognuna di esse è caratterizzata da etichette il cui disegno è sempre stato affidato, dal 1947 in poi, ad artisti famosi. La Guide des Millésimes della Revue du Vin de France le classificava, riferendosi a tutto il Médoc, così:
1981, tre stelle – 1983, tre stelle e mezza – 1992, due stelle – 1986, 1989 e 1996, cinque stelle.
Tenendo presente che il peggiore del gruppo (1992) una dozzina di anni fa era, seppur poco complesso e profondo, ancora piacevolissimo, posso aggiungere che le valutazioni generiche sopra riportate siano applicabili anche a Mouton, con un solo, ma decisivo, distinguo: tra il 1989 – molto buono ma anche molto pronto, molto boisé, molto “californian style” – e il 1986 – immenso, superbo, dai tannini soffici come una DS Pallas, la vera essenza di Mouton e di un Pauillac grande anche nei numeri (300 mila bottiglie!) – ci sono varie “stelle” e pure qualche pianeta di differenza.
Chiudo questa sommaria e improvvisata serie di ricordi sparsi con un’annotazione un po’ amara: in quegli anni anche i vini più cari avevano costi non proibitivi e un appassionato poteva togliersi ogni tanto uno sfizio.
P. S.
nel rovistare in cantina è spuntata anche qualche “boccia usata” di La Tâche; ne parlerò prossimamente, tanto per non scontentare i borgognofili.