Nel parlare di sangiovese di Romagna si cade spesso nella tentazione di paragonarlo ai toscani. Come se i sangiovese toscani fossero tutti uguali tra loro e come se i romagnoli fossero così diversi, dai toscani intendo.
Tentazione inutile e fuorviante, da scacciare immediatamente insieme all’immagine di quei sangiovese super colorati e super muscolari che imperversavano in Romagna fino a poco tempo fa.
Il sangiovese è, per sua natura, sempre diverso, risente drammaticamente di qualsiasi condizionamento, dalla mano dell’uomo al territorio, per non parlare degli andamenti stagionali che nessun vitigno (esagero un po’) subisce quanto il sangiovese. Se pensiamo poi ai legni di affinamento si apre un mondo, con il sangiovese che reagisce assai bruscamente rispetto alla dimensione delle botti, alla loro origine e lavorazione. Ogni fattore esterno, insomma, ha un’incidenza fortissima su questo vitigno che poi alla fine sembra fregarsene di tutto e fa come gli pare, nel senso che lascia spesso la sensazione che qualche particolare è comunque sfuggito alle previsioni e sia diventato l’elemento determinante e, apparentemente, inspiegabile.
Assaggiando tre etichette di Costa Archi, azienda di Castel Bolognese, ho avuto da un lato l’ennesima conferma dell’inafferrabilità del sangiovese e dall’altro del suo animo quasi ingenuo, prevedibile e pertanto “guidabile” dall’uomo; a patto che l’uomo possegga quei requisiti di tenacia e passione che un animale di razza, come è il sangiovese, pretende.
Gabriele Succi, titolare di Costa Archi, è probabilmente arrivato alla conclusione che il miglior modo per rispettarne il carattere ed esaltarne le diversità, è lasciar perdere idee malsane e forzate di assemblaggio o blend che dir si voglia. Con il blend si attenuano gli estremismi e realizzano, probabilmente, vini più equilibrati ma diamo un calcio alla personalità. Ma che te ne fai di un sangiovese per benino, ben vestito ed educato?
E così da tre vigneti diversi, in tre annate diverse e qualche metodo di vinificazione diverso, sono inevitabilmente e volutamente nati tre vini – Assiolo, GS e Riserva Monte Brullo – che ovviamente “parlano” linguaggi apparentemente opposti ma lo fanno con lo stesso piglio e la stessa chiarezza d’intenti. Che è quella di chi li ha concepiti. Niente di inspiegabile a questo punto e il sangiovese, come dire, si autodisciplina mantenendo la propria libertà di espressione.
I conseguenti dettagli organolettici sono riservati, come sempre, al pubblico degli abbonati e meritano, lo dico con la massima immodestia, la giusta attenzione.