La degustazione della Riserva 2016 di Chianti Classico è stata, nella storia delle Anteprime “Leopoldiane”, la più convincente e coinvolgente di sempre. L’annata non è stata forse omogenea come la 2015 ma ha avuto quel tocco di freschezza supplementare che ha permesso di proporre vini dall’impatto meno ossidativo, dal frutto più fragrante e dallo sviluppo più dinamico. In sintesi i vini dal profilo stilistico tradizionale sono sembrati più tonici e giovanili, mentre quelli di matrice internazionale sono apparsi più classici e rigorosi del solito. Non recensirò, come di consueto, le tre/quattro etichette di maggior pregio, in quanto i vini meritevoli di una segnalazione sono assai più numerosi (il report completo sarà tra non molto disponibile nella sezione RATINGS) e molti di essi saranno presenti tra un paio di giorni, unitamente a qualche altro centinaio di vini eccellenti, al fantastico banco d’assaggio di Terre di Toscana.
Superando quindi ogni tentazione classificatoria, mi limiterò, come unica eccezione, a rimarcare il sorprendente progresso registrato dalla Riserva Doccio a Matteo di Caparsa, un vino che solitamente presentava un irrisolto conflitto tra dolcezze e rugosità del rovere che confondeva il carattere e allontanava il punto ideale di equilibrio. Già nella versione 2015 si era potuto notare un assetto più preciso ma l’edizione 2016 mi sembra che rappresenti davvero un passo in avanti decisivo; al punto di insidiare, nella gerarchia aziendale, la posizione (tuttora) primeggiante della più classica Riserva Caparsino. Per la verità qualche scoria di rovere e tannino è ancora presente nel Doccio a Matteo, ma la sensazione di purezza e integrità del frutto è talmente esaltata dal naturale contrasto con la sapidità e l’acidità che l’effetto finale è scoppiettante, piacevolissimo e imprevedibile.
E imprevedibile e tutta da seguire sarà anche l’evoluzione futura. Ma avremo occasione di parlarne tra qualche mese.