Brunello di Montalcino 2015, spunti e riflessioni

 

Brunello di Montalcino 2015, spunti e riflessioni

È inutile negare che, dopo il modesto millesimo 2014, c’erano molte attese sull’uscita dei Brunello 2015, anche in considerazione dei riscontri decisamente positivi emersi nelle altre principali denominazioni della regione (Chianti Classico, Bolgheri, Nobile, Carmignano etc..) e, volendo, anche in riferimento alle cinque stelle cinque assegnate a suo tempo dalle commissioni ufficiali del Consorzio di tutela. Con la preziosa collaborazione di Claudio Corrieri, ho passato al vaglio circa 200 vini (143 Brunello “semplici” e una sessantina di “Selezioni”) e il responso, certamente non definitivo e suscettibile di ulteriori verifiche nel corso dell’anno, è stato al di sotto delle nostre aspettative. Intendiamoci, la 2015 è un’annata sicuramente buona. Ma non certo grande. Non mancano le etichette di alto livello ed è nutrito il gruppo dei Brunello qualificabili come “ottimi”, ma la quantità di vini non all’altezza di una denominazione prestigiosa come è il Brunello di Montalcino, oltretutto in un’annata considerata di alto profilo, è parsa francamente un po’ eccessiva.

La gamma delle “precarietà” è piuttosto ampia, si va dalle evoluzioni precoci alle ingerenze alcoliche e tanniche, dalle intrusioni del rovere alla sistematica presenza di alcune incertezze olfattive; poco equilibrio e poco carattere in molti, troppi vini. Se una dozzina di anni fa era inaccettabile la presenza di vini dal color nero pece (e chi ha buona memoria si ricorderà che all’epoca il sottoscritto è stato tra i pochi a scriverlo e ribadirlo con chiarezza), oggi si può ritenere a ragione poco presentabile la visione di qualche (pochi, per fortuna) Brunello con il bordo del bicchiere color zampa di gallina.

Eppure negli ultimi venti anni a Montalcino non sono certo mancati gli investimenti, con rinnovamento del parco vigneti, delle strutture e delle attrezzature di cantina. È cresciuta la consapevolezza dei produttori, ma nelle ultime tre annate (2013, 2014, 2015), chi cerca la freschezza, l’eleganza di beva e il carattere anche irrequieto del sangiovese, non è solo a Montalcino che si deve rivolgere.

E allora? È forse colpa del cambiamento climatico? Troppo facile prendersela con il clima, anche perché le tre annate sopra citate sono state del tutto diverse tra loro. Ma, e il discorso riguarda tutto il mondo del vino e non solo Montalcino o l’Italia, in aggiunta al clima va ricordato che tutte le scelte agronomiche, quelle più strettamente viticole (portainnesti, cloni, gestione del vigneto etc..) e di cantina (condizioni di macerazione, uso dei legni e via dicendo) si sono indirizzate nel recente passato su modelli qualitativi che privilegiavano la potenza rispetto alla finezza, la prontezza rispetto alla lentezza, puntando, ad esempio, sulla precocità di maturazione delle uve e su affinamenti sempre più ossidativi.

Non a caso, e non solo per il cambiamento climatico, sono emersi con forza negli ultimi anni territori quasi dimenticati come il nord Piemonte, la Valtellina, la Valle Isarco, l’Etna e, per restare in Toscana, certi lembi del territorio chiantigiano (Radda, parti di Gaiole, Lamole..).

Non a caso, nonostante che ora la Borgogna vada di moda più che mai e tutti la glorifichino, i vini rossi della Côte d’Or hanno perso la ricchezza aromatica e la fragranza gustativa del passato e dopo neanche dieci anni mostrano cenni di stanchezza: il pinot nero si raccoglie ormai con venti giorni di anticipo.

Non a caso i vini prodotti in quel fantastico “supercru” del versante settentrionale che è la collina di Montosoli, sono risultati tra i più espressivi e incisivi della complessa degustazione di Benvenuto Brunello 2020.

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